Al fine di fornire una risposta esaustiva al parere richiesto, pare utile richiamare brevemente la normativa che disciplina gli istituti in esame.
In base al primo periodo del riformulato comma 3-bis dell’art. 33 del Codice, i Comuni non capoluogo di provincia procedono all’acquisizione di lavori, beni e servizi facendo ricorso a tre modelli organizzativi strutturati e ad uno più flessibile:
a) Unioni dei comuni costituite in base all’articolo 32 del decreto legislativo 15 agosto 2000, n. 267, ove esistenti (Comuni non capoluogo possono essere già parte dell’Unione o possono decidere di associarsi ad un’Unione già costituita);
b) soggetto aggregatore, inteso secondo la definizione desumibile dal comma 1 dell’art. 9 del d.l. n. 66/2014 conv. l. n. 89/2014, pertanto individuabile, allo stato attuale, nella Consip s.p.a. e nelle centrali di committenza regionali; in base a quanto previsto dal comma 2 dello stesso art. 9, il novero dei soggetti aggregatori può risultare ampliato in base alla progressiva iscrizione all’elenco speciale presso l’AUSA;
c) Province, ai sensi della legge 7 aprile 2014, n. 56; il comma 88 dell’art. 1 della stessa legge di riforma stabilisce infatti che la Provincia può, d’intesa con i Comuni, esercitare le funzioni di predisposizione dei documenti di gara, di stazione appaltante, di monitoraggio dei contratti di servizio e di organizzazione di concorsi e procedure selettive, assumendo pertanto il ruolo di Stazione Unica Appaltante (SUA);
d) apposito accordo consortile tra Comuni, avvalendosi dei competenti uffici anche delle Province.
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