Mobilità urbana: polveri sottili e costi saranno sufficienti per sconfiggere il mal di auto?

Alberto Gardina 16 Dicembre 2011
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Come ormai da diversi anni a questa parte l’autunno ripropone la cosiddetta emergenza inquinamento. Il fenomeno, particolarmente  insidioso nella pianura padana, viene affrontato nel peggiore dei modi, vale a dire affidandosi alla “danza della pioggia”.

Potrà sembrare paradossale ma gli umani moderni, tutto “cervello” e tecnologia, in questo caso guardano al cielo, confidando curiosamente nel vento o nella pioggia. Lo fanno non potendo contare sui propri comportamenti responsabili: della serie tutto va bene eccetto responsabilizzarsi. Amministrazioni di destra, di centro e  di sinistra sembrano avere in comune la passione per un colore: il grigio. L’unica differenza sono le sfumature, ma ogni decisione sembra essere dettata mettendo al centro due totem: gli affari e l’automobile.

Eppure un recente articolo del Corriere delle Sera, pubblicato venerdì 2 dicembre, ha rivelato che  l’inquinamento atmosferico in Europa, sottrae in media 9 mesi di speranza di vita, fino ad arrivare a tre anni nelle regioni più esposte, come la pianura padana ed il Benelux.

Morti premature per insufficienza cardiaca, infarti, crisi respiratorie, tumori, ma anche per l’ipertensione.

Oltre al dato sanitario occorre considerare quello economico.  L’inquinamento e le sue ricadute sulla salute hanno un costo stimabile in 80 miliardi di euro l’anno per ospedalizzazioni e farmaci.

Un rapporto dell’Agenzia Europea dell’Ambiente rileva che un quinto della popolazione europea vive in zone dove gli inquinanti superano la soglia di legge più volte all’anno.

 

Tra i nemici più subdoli le cosiddette polveri sottili; di queste una metà è prodotta dal traffico stradale, mentre l’altra è composta da emissioni industriali e riscaldamento (25%), combustione di legna (13%) ed emissioni dall’agricoltura (12%).

L’inquinamento proveniente  dal traffico  stradale deriva:

 

– per il 30% dai tubi di scappamento e dall’usura di freni e pneumatici;

– per un altro 20% dalla “polvere” che viene sollevata con il passaggio delle automobili.

 

Per migliorare la qualità dell’aria, il  Centro Comune di Ricerca i Ispra, ritiene non sufficiente passare ai modelli meno inquinanti (auto euro-5 e autocarri euro-6), ma necessario  ridurre il numero dei veicoli a motore a scoppio in circolazione. E’ questo l’aspetto sul quale occorre  concentrare i maggiori sforzi, anche se  l’Italia sembra essere fanalino di coda sotto questo punto di vista.

Milano e Roma hanno un tasso di motorizzazione che si aggira sulle 6-700 auto ogni mille abitanti, secondo nel mondo solo a quello  che si riscontra a Los Angeles.

Il dato di Berlino, Londra e Parigi è di circa 3-400 auto ogni mille abitanti, ma in questa città, come detto, non solo costa caro circolare, ma anche parcheggiare.

Neppure il caro carburante sembra  essere sufficiente a tenere lontani milanesi e romani dall’auto. Se questo bastasse, insieme ai costi che derivano dall’usura del veicolo, dalla sua manutenzione e dalle spese di assicurazione, gli italiani avrebbero smesso da un pezzo di muoversi in auto anziché affidarsi ai mezzi pubblici.

La verità sembra invece un’altra: milanesi, romani, fiorentini ecc, certo in misura diversa fra loro, sembrano  affascinati dalla cosiddetta comodità, anche a costo di penalizzare il portafoglio.

Ma cosa sì fa nel resto delle metropoli europee per diminuire il ricorso al mezzo privato a motore e migliorare la qualità dell’aria?

 

Ad esempio Londra e Berlino, hanno imposto tariffe scontate di accesso al centro  alle sole auto a bassa emissione, mentre le più vecchie pagano caro il privilegio di circolare. Nella capitale tedesca, dove il parco auto euro 4 è pari al 90% di quelle circolanti, le polveri nell’area  a bassa emissione, le cosiddette zone a traffico limitato,  si sono quasi dimezzate e gli ossidi di azoto sono scesi del 20%.

Ma questa non sembra essere ancora la soluzione migliore. Così si è ricorsi ad un ulteriore rimedio consistente nel  ridurre le aree di parcheggio, proprio allo scopo di scoraggiare l’ingresso di altri veicoli nelle aree urbane.

La misura sta prendendo piede in centri alla periferia di Londra ed in cittadine olandesi: il costo del parcheggio è commisurato alle emissioni di CO2 delle auto.

Ma ha senso questo nelle nostre città, dove prima ancora di limitare le aree di parcheggio non si riesce neppure ad intervenire sui veicoli in sosta vietata ed irregolare?  Ha senso inventarsi nuove regole, quali le cosiddette “congestion charge”, senza iniziare ad applicare davvero il Codice della Strada?

E se, ad esempio, si cominciasse dal sanzionare senza scampo le auto parcheggiare in sosta vietata o irregolare?
E’ di questa opinione l’ ingegnere Marco Ponti, docente di Economia dei trasporti al Politecnico di Milano e  collaboratore de “lavoce.info”.

“Prima di inventarci nuove tasse come la “congestion charge” afferma il professor Ponti, controversa anche dal punto di vista del principio di equità, “sarebbe opportuno iniziare ad applicare davvero il Codice della Strada, a partire dalle multe per il divieto di sosta.”(1). Non a caso, l’Economist ha definito Milano la capitale delle auto in doppia fila. Infatti, se lasciare l’auto in doppia fila a New York comporta nel giro di pochi secondi la sua rimozione, a Milano, Roma, o Napoli è invece una pessima abitudine priva di rischi.

Ma non basta: le nostre più importanti città, oltre ad avere una rete  metropolitana assente o inadeguata alle esigenze, non riescono neppure a garantire una mobilità concorrenziale ai mezzi di superficie.

Milano,  la città italiana che vanta la rete più estesa ed efficiente di metropolitana , conta su 84 km e tre linee.

Per rendere l’idea, città simili, quali Amburgo e  Monaco di Baviera, sviluppano reti di metropolitane di 101 Km ognuna, mentre Barcellona  e Stoccolma, di 106 km.

 

Ma questo non basta a spiegare perché le nostre città soffochino di traffico e siano schiacciate sotto una cappa di polveri sottili.

Zurigo, ad esempio, pressoché unanimemente riconosciuta come la città modello in tema di trasporto pubblico, non ha alcuna linea di metropolitana, ma sviluppa una fitta rete di corsie preferenziali che permettono ad autobus e tram di correre veloci e puntuali. Al contrario, percorrendo le strade di  Roma,  anche ad ampia carreggiata, come via Cavour o via Nazionale,  colpisce l’assenza di  corsie riservate per bus e tram. Eppure la loro realizzazione non è soggetta ad alcun parere preventivo di altri organi e fra l’altro avrebbe un costo limitato.

I tagli al trasporto pubblico regionale e locale, voluti dal governo Berlusconi, avrebbero potuto rappresentare l’occasione giusta per ripensare la mobilità nelle nostre città e consigliare di aumentare la velocità commerciale dei mezzi di superficie, proprio per fare fronte alla diminuzione delle risorse destinate al loro rinnovo.  Ma questo non è bastato a mettere, ad esempio, l’Amministrazione Comunale di Roma di fronte alle proprie responsabilità.

Così, anziché puntare su uno sviluppo capillare di corsie preferenziali,  molti sindaci hanno preferito affidarsi alla solita litania che li vuole poveri e per questo impossibilitati ad acquistare nuovi veicoli destinati al trasporto pubblico. Peccato che pochi rammentino ai nostri primi cittadini, che la frequenza dei mezzi di trasporto pubblico non dipende solo dal loro numero, ma anche e soprattutto dalla loro velocità commerciale, tanto minore quanto più intenso è il traffico.

Infatti se bassa è la velocità commerciale di  autobus, filobus e tram, ovviamente più alta deve diventare la loro frequenza, ma così facendo aumenta il costo del trasporto pubblico. Non sarebbe meglio allora  puntare su una rete fitta di  corsie preferenziali?

Nella capitale, così come a Milano, le vie di accesso alla città vengono spesso allargate, anzichè ristrette.

Questo favorisce l’ingresso in città di auto provenienti  dai comuni del’hinterland che si trovano spesso a bloccare i mezzi di superficie, intrappolati da chilometri di veicoli privati.

Risulta fantascientifico pensare nelle nostre città, alla progressiva riduzione di parcheggi lungo le strade, ad esempio a favore di posti per lo stazionamento di biciclette pubbliche, per motorini, car-sharing.

In diverse città tedesche e francesi, un massiccio programma di investimenti sul trasporto collettivo ha portato alla ricomparsa del tram in centri importanti (come Lione o Nizza) ed allo sviluppo di tecnologie innovative, come i progetti di “tram su gomma” e “bus ad alto livello di servizio” che sono in corso in oltre 15 centri.

In Italia si trovano in realtà buoni esempi di integrazione fra bici e mezzi pubblici, come a Bolzano, Trento o Ferrara, Sondrio per esempio con linee dedicate, servizi bici-bus o treno; tuttavia si tratta di piccoli centri.

Le scelte politiche sembrano schiave  dei “ vizi privati” e questo sicuramente non depone a favore di tempi migliori per i nostri polmoni.

Non resta che sperare che i costi e le esperienze vissute all’estero da chi ha la fortuna di trascorrervi tempo,  ci aiutino a riflettere ed a liberarci  della schiavitù dell’auto.

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