L’ambito della sicurezza urbana è fortemente influenzato non solo dai comportamenti illeciti veri e propri ma anche da una serie di comportamenti, attuati tanto dai singoli quanto dai gruppi, non illeciti ma considerati devianti, per vari motivi.
Solo per fare un esempio, le aggregazioni di giovani che spesso impediscono o rendono difficile l’accesso ad alcuni luoghi, si sostanziano in comportamenti che non sono illeciti di per sé (non sono vietati da alcuna norma), ma che possono essere considerati devianti rispetto al comportamento che ci si aspetterebbe.
Si tratta peraltro di comportamenti antisociali, che creano comunque nocumento alla comunità perché possono essere prodromici alle attività illecite vere e proprie, oppure ne sono il contorno o il substrato; evidente come vi sia quindi una convenienza a fare in modo che questi comportamenti non vengano messi in atto o, comunque, vengano interrotti.
Pur non essendo possibile illustrare in questa sede le teorie relative alla devianza sociale, basterà ricordare che si definisce comportamento deviante quel comportamento che devia da un quadro di regole che quella determinata società si è data.
A parità di comportamento effettivo lo stesso può essere considerato deviante non solo in funzione della situazione ma anche in funzione del determinato soggetto che lo attua; ad esempio una persona che ha un ruolo pubblico adottando comportamenti che potrebbero risultare normali per altre persone può risultare avere un comportamento deviante proprio a causa del suo ruolo.
Vi è quindi una relatività della devianza in funzione sia del contesto sociale che di altri fattori, rimanendo comunque invarianti alcuni comportamenti considerati in modo negativo in tutte le società e in tutte le epoche; uccidere un’altra persona è considerato comunque un comportamento deviante, indipendentemente dal contesto sociale e culturale.
Le varie teorie che cercano di descrivere il fenomeno della devianza sociale, così come quello della criminalità, che è comunque una devianza con caratteristiche particolari, si basano essenzialmente su tre approcci:
· biologico;
· psicologico;
· sociologico.
Inoltre l’approccio sociologico si articola essenzialmente in teorie:
· funzionaliste;
· interazioniste;
· del conflitto;
· del controllo sociale.
L’approccio biologico rappresenta uno dei primi tentativi di studio della devianza, basato sull’idea che alcune caratteristiche innate degli individui sono come cause del comportamento deviante e criminale; principali esponenti di questo approccio, oggigiorno molto ridimensionato anche se non annullato, furono Cesare Lombroso, che pensava che i criminali fossero individui biologicamente degradati o minorati, identificabili grazie ad alcune caratteristiche anatomiche, e William Herbert Sheldon che attribuiva maggior probabilità di divenire criminali ad individui con determinate caratteristiche fisiologiche.
L’approccio psicologico si basa sul ritenere che la devianza sia essenzialmente un problema dovuto all’individuo, in particolare allo sviluppo non corretto della coscienza morale matura, dovuto a carenze o deprivazioni della relazione sociale e psicosociale fondamentale della vita, che è la relazione con le figure parentali.
In pratica se il bambino non riceve, nei primissimi anni di vita, sufficiente amore, sufficiente attenzione, sufficiente accudimento, da parte dei genitori, può finire per non temere nessuna perdita, non avendo ricevuto ciò di cui aveva bisogno; inoltre non identificandosi con i genitori che lo rifiutano non interiorizza i loro ruoli, con la conseguente tendenza a manifestare comportamenti devianti.
Altra possibilità collegata all’approccio psicologico è che nel corso dello sviluppo un bambino prenda a modelli di identificazione persone che attuano comportamenti devianti, generando una vera e propria identificazione deviante che si tradurrà in una maggiore probabilità di esibire comportamenti devianti.
Infine le teorie con approccio sociologico per le quali vengono individuate correlazioni fra devianza e cause sociali, come l’ordinamento politico prevalente (più liberale è e più può portare a comportamenti devianti), lo sviluppo economico (che può tendere ad aumentare la devianza e la criminalità), ma anche una correlazione fra devianza e controllo sociale. Vi è infatti una forte correlazione fra gli strumenti di controllo sociale, e la devianza o la criminalità vera e propria: maggiore è il controllo sociale (tanto più se diffuso) e minore sarà la devianza.
I più importanti esponenti di queste ultime teorie sono stati Émile Durkheim[1], con la sua teoria dell’anomia (allentamento delle regole sociali), gli studiosi della cosiddetta Scuola di Chicago, o meglio scuola dell’ecologia urbana, (Albion W. Small, Robert E. Park, Ernest W. Burgess, Roderick D. McKenzie, Louis Wirth, William Thomas, Florian Znaniecki, Everett Hughes, Nels Anderson, Edwin H. Sutherland[2]), Travis Warner Hirschi con la sua teoria sui controlli sociali deboli, Robert K. Merton con la sua teoria della tensione sociale, Thorsten Sellin con la teoria dei conflitti culturali, Howard S. Becker con la teoria dell’etichettamento, Austin Turk[3] e Richard Quinney con le rispettive teorie del conflitto. Probabilmente lo schema di classificazione delle devianze più autorevole è dovuto a Robert Merton[4] (teoria della tensione) che riesce a classificare i modi di adattamento individuale combinando le forme di accettazione e rifiuto delle mete culturali, dei mezzi istituzionalizzati per raggiungerli, o di entrambi.
Importante rilevare la matrice dell’interazionismo simbolico della devianza (Howard Becker) così da inquadrare la devianza in una cornice teorica particolare, con la conseguenza che lo status di soggetto deviante non è acquisito ma ascritto e dunque il concetto di devianza diviene un concetto ambiguo, che porta allo stigma, come fatto notare da Erving Goffman[5].
Dunque la devianza diviene un processo di interazione fra devianti e non devianti e il comportamento deviante semplicemente quello che così viene etichettato; per alcuni autori, come Edwin Lemert non è la devianza a portare alla necessità del controllo, ma il contrario, il controllo che può portare alla devianza.
Tornando a quel che qui ci interessa la devianza è quindi un fatto abbastanza comune e solitamente senza grandi conseguenze per la comunità salvo che quando questa può essere anticipatoria di fatti illeciti o costituire l’humus sul quale il fatto illecito poi accadrà.
I comportamenti devianti in sé non sono attività illecite e non sono perseguibili a termini di legge; la polizia non può intervenire con gli strumenti approntati dall’ordinamento giuridico in quanto questi sono predisposti solamente per quei comportamenti definiti contrari alla legge, dove una norma (precetto) definisce il comportamento illecito e un’altra le correlate sanzioni.
A questo punto è indispensabile rilevare che le varie teorie sulla devianza sociale dovrebbero subire una profonda revisione alla luce dell’evidenza che molti dei rapporti sociali sono ormai mantenuti grazie a quel mondo parallelo che è internet e a quegli strumenti di comunicazione che sono i social media.
I social media sono strumenti computer mediated (hanno necessità di un hardware che può essere un computer, ma che è sempre più spesso uno smartphone o un tablet) che consentono alle persone di condividere contenuti di vario tipo (informazioni, idee, immagini, video), spesso modificati nei vari passaggi, utilizzando come strumento di veicolazione una struttura di comunità/rete (in questo senso sono sociali).
L’utilizzo dei social media tramite smartphone rende i loro contenuti ancor più ricchi sotto vari aspetti (esempio: la georeferenziazione che collega ai materiali condivisi, come un’immagine, la loro posizione) e le interazioni più rapide grazie all’uso costante che ognuno ormai fa di quello che è divenuto un accessorio della vita quotidiana.
Le principali caratteristiche dei social media sono:
·annullamento della distanza fisica fra i soggetti che interagiscono. È possibile comunicare nello stesso tempo con qualcuno che si trova ad un chilometri come con qualcuno che si trova dalla parte opposta del pianeta;
·annullamento della distanza sociale. Il fatto che sui social media il soggetto si costruisca una propria personalità, più o meno corrispondente a quella reale, di fatto annulla anche le distanze sociali, facilitando le interazioni fra persone di estrazione sociale diversa;
·la condivisione emotiva in questo tipo di comunicazione è maggiore basandosi su contenuti espliciti (immagini, musica, video, ecc.) e non più solo sulla rappresentazione testuale come nelle comunicazioni verbali o scritte.
Tutte queste caratteristiche producono una notevole “viralità” in termini di propagazione delle informazioni: i messaggi trasmessi da un utente ad altri utenti che fanno parte della propria rete di contatti, possono divenire, in termini di pochi minuti, migliaia e quindi milioni, con l’arricchimento di ulteriori informazioni ad ogni passaggio. Si aggiunga che l’annullamento delle distanze sociali rende sempre più attraente l’utilizzazione di questo strumento di comunicazione, potenzialmente capaci di farci entrare in contatto con chiunque, e quindi con un ulteriore rinforzo dei collegamenti e delle caratteristiche di viralità.
Questa sovrammissione del mondo reale con quello virtuale ha notevole influenza anche sull’aspetto della devianza sociale: la facilità di comunicazione e di interazione data dai social media non solo alimenta in modo diverso le forme di devianza già conosciute, ma ne fa sorgere di nuove, anch’esse con risvolti immediati sulla sicurezza.
Va preso atto anche che parte dello stesso controllo sociale è ormai transitato su internet e sui social media, proprio perché le interazioni umane, anche quelle di controllo, transitano sul mondo virtuale.
A questo punto solamente l’innovazione tecnologica, insieme ad un’intelligente gestione del controllo del territorio, può portare oggigiorno ad un effettivo controllo sui comportamenti considerati devianti, appunto prodromici alle attività illecite vere e proprie, nell’intendimento che la prevenzione sia meglio della repressione.
Come è possibile questo?
Innanzitutto con il presidio dei social media da parte della polizia locale sia in modalità pubblica che “coperta” (non ufficiale), così da poter intercettare tutti quei messaggi pubblici che possono far intravedere possibili e prossimi comportamenti devianti in luoghi pubblici, come forti aggregazioni spontanee di gruppi giovanili; l’individuazione, magari automatica utilizzando meccanismi di intelligenza artificiale, di questi messaggi può aiutare a organizzare in modo efficace il controllo del territorio.
Poi con il controllo dei luoghi di aggregazione tramite la videosorveglianza, con l’analisi video automatica di determinati comportamenti adottati dai soggetti ripresi dall’impianto di videosorveglianza urbana e conseguenti alert per l’indirizzamento rapido delle pattuglie che controllano il territorio, così da evitare che i comportamenti devianti divengano veri e propri atti illeciti.
Infine con software di polizia predittiva, basati su intelligenza artificiale, che incrociando in modo automatico e continuo una serie di dati territoriali e quanto recuperato in tempo reale dai social media, possano individuare gli hot spot da presidiare in modo prioritario, così da intervenire in via preventiva appunto su quei comportamenti che non sono illeciti ma che potrebbero, di lì a poco, diventare.
Certamente nella fase di intervento sul posto la polizia locale dovrà avere l’abilità di gestire la situazione utilizzando gli strumenti della relazione sociale e del convincimento, anziché gli strumenti della repressione, inattuabile finché l’illecito non avviene.
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[1] Émile Durkheim, La divisione del lavoro sociale, Il Saggiatore 2016, (titolo originario De la division du travail social, 1893).
[2] Edwin H. Sutherland, Donald R. Cressey, David F. Luckenbill, Principles of Criminology, General Hall 1992, (ed. or. 1934).
[3] Austin T. Turk, Criminality and legal order, Rand McNally & Co ,U.S., 1969.
[4] Robert K. Merton, Social Structure and Anomie, in American Sociological Review. 3 (5): 672–682, 1938.
[5] Erving Goffman, The Presentation of Self in Everyday Life, Doubleday Anchor Books, 1959.
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