Con sentenza del 14/2/2013 la Corte di Appello di Napoli, in riforma della sentenza emessa in data 16/11/2009 dal Tribunale della stessa città, ha assolto omissis dal reato di tentata truffa aggravata (capo B della rubrica delle imputazioni) perché il fatto non sussiste ed ha rideterminato la pena inflitta dal Giudice di prime cure per il reato di ricettazione (capo A della rubrica delle imputazioni), alla luce della già ritenuta Al sussistenza dell’ipotesi attenuata di cui al cpv. dell’art. 648 cod. pen., in mesi 9 di reclusione ed € 300,00 di multa. Si imputa all’ omissis di aver circolato alla guida di un’autovettura munita di un falso certificato di autorizzazione al transito ed al parcheggio libero nelle aree riservate agli invalidi emesso dal Comune di Napoli a favore di tale omissis già deceduto. I fatti descritti risultano accertati in data 10/11/2004.
Ricorre per Cassazione avverso la predetta sentenza il difensore dell’imputato, deducendo:
1. Mancanza e la manifesta illogicità della motivazione risultante dal provvedimento impugnato ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. nel punto in cui è stata affermata la penale responsabilità dell’imputato in relazione al reato di ricettazione ascrittogli.
Evidenza, al riguardo, il ricorrente, che la motivazione della sentenza della Corte di Appello appare fondata esclusivamente su di un argomento di natura logica legato al fatto della consapevolezza da parte dell’imputato della falsità del documento di cui trattasi desunta dal fatto che detto documento era intestato a persona diversa dall’imputato e non più in uso a quest’ultimo perché deceduto. La Corte territoriale non avrebbe, per contro, tenuto conto della censura difensiva relativa al fatto che non sono stati acquisiti elementi sufficienti ed idonei a dimostrare la falsità del documento stesso, falsità che costituisce il delitto presupposto a quello di ricettazione ciò anche perché, dall’istruttoria dibattimentale era emerso che il tagliando rinvenuto in possesso dell’imputato non era altro che la copia fotostatica dell’originale, priva di alterazione rispetto al documento autentico. Il comportamento di colui che fa uso improprio della fotocopia del documento originale potrebbe al più essere ritenuto responsabile del reato di truffa ma in relazione a tale reato omissis è stato oramai assolto dalla stessa Corte di Appello.
Ancora, la sentenza impugnata sarebbe viziata sotto il profilo motivazionale nella parte in cui non ha tenuto conto della doglianza difensiva relativa al mancato accertamento della proprietà dell’autovettura con conseguente impossibilità di stabilire chi avesse apposto il predetto documento all’interno della stessa.
Inoltre, poiché il reato di ricettazione è configurabile solo nell’assenza di concorso dell’autore nel reato presupposto, non si comprenderebbe dalla motivazione della sentenza impugnata in base a quale ragionamento la Corte di Appello abbia escluso la falsificazione da parte dell’imputato dato che dall’istruttoria dibattimentale non emergevano elementi di segno contrario.
2. Mancanza assoluta di motivazione risultante dal provvedimento impugnato ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in riferimento alla richiesta di non doversi procedere per intervenuta prescrizione.
La Corte, a detta di parte ricorrente, non avrebbe, infatti, dato alcuna risposta alla predetta richiesta formulata all’esito del giudizio di secondo grado e di cui a pag. 2 del processo verbale di dibattimento del 14/2/2013.
Considerato in diritto
1. II primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Sul presupposto giuridico che “integra il reato di falsità materiale del privato in autorizzazioni amministrative (artt. 477 e 482 cod. pen.) la riproduzione fotostatica del permesso di parcheggio riservato agli invalidi, a nulla rilevando l’assenza del timbro a secco e, comunque, dell’attestazione di autenticità, la quale non incide sulla rilevanza penale del falso allorché, come nella specie, il documento abbia l’apparenza e sia utilizzato come originale, considerata anche la notevole sofisticazione raggiunta dai macchinari utilizzati, capaci di formare copie fedeli all’originale, come tali idonee a consentire un uso atto a trarre in inganno la pubblica fede” (Cass. Sez. V, sent. n. 14308 del 19/03/2008, dep. 04/04/2008, Rv. 239490), va detto subito che nella sentenza impugnata si è dato congruamente atto delle caratteristiche del documento trovato in possesso dell’imputato e delle modalità di rinvenimento dello stesso e che il ricorrente non ha addotto alcun elemento contrario circa le fattezze del documento che vada al di là del fatto che si tratta di una mera fotocopia dell’originale. D’altro canto a nulla rileva la circostanza che non siano stati effettuati accertamenti sulla proprietà dell’autovettura sulla quale era stato apposto il documento provento da delitto o su chi abbia prodotto il documento stesso (eventualmente anche lo stesso imputato), in quanto la Corte di Appello in assenza di giustificazioni addotte sul punto dall’imputato stesso e sul presupposto (provato) che l’imputato è stato trovato in possesso di documento falso formalmente intestato a diverso soggetto e non più in uso alla stesso in quanto deceduto, ha fatto buon governo del principio giurisprudenziale in base al quale “ai fini della configurabilità dei delitto di ricettazione, la mancata giustificazione del possesso di una cosa proveniente da delitto costituisce prova della conoscenza della illecita provenienza” (Cass. Sez. II, sent. n. 41423 del 27/10/2010, dep. 23/11/2010, Rv. 248718).
2. Anche il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Sul punto è appena il caso di ricordare che “in sede di legittimità, non è censurabile una sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata con il gravame, quando risulti che la stessa sia stata disattesa dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata” (Cass. Sez. I, sent. n. 27825 del 22/05/2013, dep. 26/06/2013, Rv. 256340).
Orbene il fatto che sia stata pronunciata sentenza di condanna comporta che è stata implicitamente respinta dalla Corte di Appello la richiesta di dichiarare estinto il reato in contestazione per intervenuta prescrizione, causa di estinzione che – è appena il caso di dirlo – non era certo maturata al momento della pronuncia della sentenza impugnata.
Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma ritenuta equa di € 1.000,00 (mille) a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 alla Cassa delle ammende.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento