Invero, andare alla ricerca dei motivi per i quali il Legislatore abbia sviluppato questa singolare alternanza semantica è esercizio ozioso di un approfondimento poco sensato, anche alla luce del fatto che l’articolo 211 del codice che regola la gestione della sanzione in parola non rende percepibili differenze tra le misure destinate ad un ripristino, rispetto a quelle orientate ad una rimozione. Indubbiamente la distinzione semantica ha una parvenza di significato logico, in quanto, nel primo caso, si ha l’apparenza di essere al cospetto di una attività non illecita ab origine poi diventata foriera di effetti illeciti e pericolosi per la sicurezza della circolazione, mentre nel secondo caso si può dedurre di essere al cospetto di attività che insorgono prive di qualunque legittimazione. Tuttavia si tratta –come detto- di mera apparenza: la lettura degli articoli che richiamano “il ripristino dello stato dei luoghi”, non sempre pongono in evidenza la sussistenza di attività originariamente legittime (es. art. 15); il trattamento unitario che, delle due condotte, fa, poi, l’articolo 211 del codice ci porta fatalmente a considerarle come una sorta di endiadi, posto che non sono configurati, nell’ordinamento, effetti più gravi per le condotte qualificate come abusive, rispetto a quelle che meritino un mero ripristino.
Ad ogni buon conto, merito straordinario del nuovo codice della strada è stato quello di aver ridotto ad unità (quanto meno nel 1992) quella complessa rete di poteri amministrativi che erano alla base delle potestà ripristinatorie tipizzate, in epoca precedente.
Prima del 1992, la tutela del demanio stradale si radicava nel R.D. 8 dicembre 1933 n°1740, il cui articolo 20 attribuiva al prefetto (ed al sindaco per le strade all’interno dell’abitato) un potere di ordinare la riduzione in pristino di abusi o pericoli, previa audizione del “contravventore”; audizione omettibile in casi di urgenza. Merito dell’articolo 231 del codice della strada, fu, pertanto, anche quello di abrogare la parte residua del RD 1740/1933 che era sopravvissuta al T.U. del 1959 (parte rimasta in vigore ai sensi dell’art. 145 del decreto del Presidente della Repubblica 15 giugno 1959, n. 393).
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