Requisiti del reato di abbandono di rifiuti

Approfondimento di Gabriele Mighela

10 Novembre 2023
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Secondo la costante giurisprudenza della Corte di Cassazione, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 256, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006, deve escludersi sia necessario un diretto collegamento tra i rifiuti abbandonati o depositati in modo incontrollato dal soggetto agente e l’attività ordinariamente svolta dall’impresa o dall’ente cui il medesimo è preposto.

Questa conclusione risulta, secondo la Corte di Cassazione, desumibile dal dato normativo.

Precisamente, la disciplina in materia di abbandono o deposito irregolare di rifiuti risulta dalla combinazione tra l’art. 255, comma 1, e l’art. 256, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006: la prima disposizione prevede una sanzione amministrativa a carico di «chiunque […] abbandona o deposita rifiuti»; la seconda, invece, contempla l’applicazione di sanzioni penali «ai titolari di imprese e ai responsabili di enti che abbandonano o depositano in modo incontrollato i rifiuti […]».

Le disposizioni normative richiamate, per come testualmente formulate, non comminano le sanzioni penali in funzione del collegamento tra i rifiuti e l’attività svolta dall’impresa o dall’ente cui è preposto il soggetto che procede all’illecito sversamento, bensì in ragione della qualifica soggettiva del medesimo.

Si può allora ritenere che la fattispecie penale mira a sanzionare più severamente la condotta illegale di chi si è organizzato o comunque ha l’onere di organizzarsi professionalmente o specificamente anche in funzione della necessità di smaltire lecitamente rifiuti, qualunque attività egli intraprenda, anche in via episodica, e che possa essere ricollegata all’impresa o all’ente cui è preposto.

Di conseguenza, per escludere la configurabilità del reato di cui all’art. 256, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006, non è sufficiente che i rifiuti abbandonati o irregolarmente depositati non siano riconducibili alla specifica attività dell’impresa o dell’ente di cui il soggetto agente è titolare o responsabile: è necessario invece che i rifiuti abbandonati o depositati in modo incontrollato dal titolare di un’impresa o dal responsabile di un ente siano estranei a qualunque attività che, anche episodicamente, potrebbe svolgere l’impresa o l’ente.

In questa prospettiva, il limite di applicazione della fattispecie penalmente sanzionata è ravvisabile solo in caso di rifiuti estranei a qualunque attività potenzialmente riferibile all’impresa o all’ente cui è preposto l’imputato, come, ad esempio, nel caso di materiali di scarto che siano, insieme, di entità estremamente modesta e riferibili ad una produzione domestica.

Una conclusione sostanzialmente coincidente, sia pure sulla base di percorsi motivazionali non del tutto sovrapponibili, è accolta anche da altre decisioni.

In particolare, la decisione della Corte di Cassazione – Sez. 3, n. 13817 del 05/02/2021, rimarca che, nell’ambito della fattispecie di cui al d.lgs. n. 152 del 2006, art. 256, il ruolo di elemento specializzante rispetto alla ipotesi di cui al precedente art. 255, comma 1, è costituito proprio dalle «peculiari qualifiche soggettive».

La medesima pronuncia, inoltre, osserva che la differenziazione tra la fattispecie penale e quella amministrativa «non va vista solo con riferimento al soggetto che compie materialmente l’atto, ma deve essere valutata anche la natura realmente domestica o meno dei rifiuti abbandonati.

La ratio del diverso trattamento riservato alla medesima condotta, secondo l’autore della violazione, è evidentemente fondata su una presunzione di minore incidenza sull’ambiente dell’abbandono posto in essere da soggetti che non svolgono attività imprenditoriale o di gestione di enti, ed in particolare la norma in questione è finalizzata ad: “impedire ogni rischio di inquinamento derivante da attività idonee a produrre rifiuti con una certa continuità, escluse perciò solo quelle del privato, che si limiti a smaltire i propri rifiuti al di fuori di qualsiasi intento economico”»

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