Si tratta di bilanciare il diritto del lavoratore a non essere controllato a distanza così come previsto dall’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori (Legge 20 maggio 1970, n. 300 – GU 27 maggio 1970, n. 131) laddove si precisa che “È vietato l’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori”, ed il diritto del datore di lavoro di tutelare i suoi interessi e nello specifico di accertare/dimostrare l’eventuale comportamento scorretto del dipendente.
I fatti che hanno portato alla pronuncia di Cassazione (Cassazione civile sezione lavoro – sentenza 23.02.2012 n. 2722) traggono origine dal comportamento di un dipendente accusato di aver divulgato a mezzo di messaggi di posta elettronica diretti ad estranei notizie riservate concernenti un cliente dell’Istituto e di aver posto in essere, grazie alle notizie in questione, operazioni finanziarie da cui aveva tratto vantaggio personale.
Se è vero che la sentenza tratta di un caso specifico inerente una banca, è altrettanto vero che l’ipotesi può riguardare anche un dipendente pubblico. Si pensi, per esempio, alle notizie eventualmente divulgate al fine di favorire terzi su future lottizzazioni, scelte dell’ente locale, controlli edilizi, commerciali, ecc.
Ma torniamo al nostro caso. Come abbiamo detto, il dipendente, abusando della sua elevata posizione professionale, divulgava notizie per averne un ritorno economico.
Comportamento di indubbia gravità, particolarmente lesivo dell’elemento fiduciario, in quanto il suo comportamento nasceva da un abuso della sua elevata posizione professionale. Scoperto con “le mani nella marmellata”, aveva tentato di difendersi appellandosi all’art. 4 statuto lavoratori invocando la non regolarità del controllo fatto sulle proprie mail.
La Corte di Cassazione ha precisato che “la possibilità di tali controlli si ferma, dunque, dinanzi al diritto alla riservatezza del dipendente, al punto che la pur insopprimibile esigenza di evitare condotte illecite da parte dei dipendenti “non può assumere portata tale da giustificare un sostanziale annullamento di ogni forma di garanzia della dignità e riservatezza del lavoratore. Tale esigenza… non consente di espungere dalla fattispecie astratta i casi dei c.d. controlli difensivi ossia di quei controlli diretti ad accertare comportamenti illeciti dei lavoratori quando tali comportamenti riguardino… l’esatto adempimento”, considerando “alla stregua delle apparecchiature di controllo vietate i programmi informatici che consentono il monitoraggio dei messaggi della posta elettronica aziendale e degli accessi Internet, ove per le loro caratteristiche consentano al datore di controllare a distanza ed in via continuativa durante la prestazione, l’attività lavorativa e il suo contenuto, per verificare se la stessa sia svolta in termini di dirigenza e di corretto adempimento, sotto il profilo del rispetto delle direttive aziendali”.
Ha però aggiunto che “nel caso di specie, il datore di lavoro ha posto in essere una attività di controllo sulle strutture informatiche aziendali che prescindeva dalla pura e semplice sorveglianza sull’esecuzione della prestazione lavorativa degli addetti ed era, invece, diretta ad accertare la perpetrazione di eventuali comportamenti illeciti – poi effettivamente riscontrati – dagli stessi posti in essere. Il c.d. controllo difensivo, in altre parole, non riguardava l’esatto adempimento delle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro, ma era destinato ad accertare un comportamento che poneva in pericolo la stessa immagine dell’Istituto bancario presso i terzi. In questo caso entrava in gioco il diritto del datore di lavoro di tutelare il proprio patrimonio, che era costituito non solo dal complesso dei beni aziendali, ma anche dalla propria immagine esterna, così come accreditata presso il pubblico. Questa forma di tutela egli poteva giuridicamente esercitare con gli strumenti derivanti dall’esercizio dei poteri derivanti dalla sua supremazia sulla struttura aziendale.”
Ha, ancora, precisato che “consolidata giurisprudenza di legittimità ritiene che in tema di procedimento disciplinare nei confronti di un dipendente di datore di lavoro privato, il principio secondo il quale l’addebito deve essere contestato immediatamente va inteso in un’accezione relativa, compatibile con l’intervallo di tempo necessario al datore di lavoro per il preciso accertamento delle infrazioni commesse dal prestatore. La valutazione dell’immediatezza della contestazione è rimessa alla valutazione del giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili ed idonee ed il cui giudizio è insindacabile in sede di legittimità ove sia immune da vizi logici e sia adeguatamente motivato”.
In sostanza:
- non è ammesso un controllo indiscriminato sulla corrispondenza mail del lavoratore;
- il controllo effettuato per accertare un’eventuale fuga di notizie legittima anche la raccolta di prove tramite il controllo delle mail del dipendente;
- il termine entro il quale effettuare le contestazioni decorre non dall’illecito, bensì dal momento in cui il datore di lavoro ne viene a conoscenza.
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