Nel primo caso i fatti traggono origine da un’assenza ingiustificata del dipendente per alcune decine di giorni. La Cassazione civile sezione lavoro sentenza 29.02.2012 n. 3060 ha sancito due principi: il primo che una lunga assenza senza alcuna giustificazione è valido motivo per l’avvio della procedura di licenziamento.
Il secondo che, “in tema di sanzioni disciplinari, la garanzia di pubblicità del codice disciplinare mediante affissione in luogo accessibile a tutti non si applica laddove il licenziamento faccia riferimento a situazioni concretanti violazione dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro ovvero all’inserimento del lavoratore nella struttura e nell’organizzazione dell’impresa del datore di lavoro (per tutte V. Cass. 18 settembre 2009 n. 20270). La garanzia di pubblicità del codice disciplinare mediante affissione in luogo accessibile a tutti si applica, infatti, al licenziamento disciplinare soltanto quando questo sia intimato per specifiche ipotesi di giusta causa o giustificato motivo previste dalla normativa collettiva o validamente poste dal datore di lavoro, e non anche quando faccia riferimento a situazioni giustificative del recesso previste direttamente dalla legge o manifestamente contrarie all’etica comune o concretanti violazione dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro ovvero all’inserimento del lavoratore nella struttura e nell’organizzazione dell’impresa del datore di lavoro (v. Cass. 18 agosto 2004 n. 16291 e Cass. 14 settembre 2009 n. 19770).” In pratica per un motivo “evidente ed eclatante” come l’assenza ingiustificata di alcune decine di giorni, non è necessario che tale comportamento sia richiamato e vietato dal regolamento disciplinare affisso all’albo (si ricorderà che per gli enti pubblici è sufficiente la pubblicazione sul sito dell’ente).
Nel secondo caso invece, tutto inizia con il rifiuto del dipendente di variare le mansioni assegnate. La Cassazione civile sez. lavoro sentenza 31.01.2012 n. 1401 ha “cassato” il licenziamento in quanto il rifiuto del lavoratore, nel caso di specie, era giustificato. In pratica il lavoratore non si era rifiutato tout court di svolgere le nuove mansioni ma aveva chiesto una preventiva informazione e formazione sulle nuove incombenze. La Cassazione quindi ha ritenuto che “il comportamento dello N. di rifiuto di mutare postazione di lavoro fosse giustificato, ai sensi dell’art. 1460 c.c., dal mancato adempimento della società alla sua richiesta di specifica formazione e informazione relativamente ai rischi temuti e connessi alla nuova attività e al nuovo posto di lavoro. In ogni caso, la Corte ha altresì evidenziato, su di un piano di valutazione comparativa del comportamento delle parti, ai sensi dell’art. 1460 c.c. e alla stregua dell’insegnamento di questa Corte (citando ad es. Cass. nn. 4743/98 o 8880/00, ma anche n. 21479/05), che il comportamento del lavoratore, attivo sindacalmente, era stato di rifiuto di una determinata prestazione e non di ogni prestazione e ha argomentato come esso fosse ispirato non solo al perseguimento di una tutela personale ma anche del miglioramento della sicurezza collettiva dei lavoratori in azienda.”
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