Con il passare del tempo, alimentati dai media ed esasperati dal clima che si respira in ogni angolo della società moderna, i ricorrenti perdono il senso della ragione e dimenticano di trovarsi in un’aula di giustizia. Non bisogna accettare la bagarre, ma nemmeno rimanere indifferenti alle offese, spesso non dirette al rappresentante chiamato a tutelare gli interessi della convenuta, ma rivolte alla categoria o all’amministrazione pubblica in genere. Non di rado, il ricorrente o addirittura il suo difensore travalicano i limiti della correttezza, lasciandosi andare a considerazioni offensive o comunque lesive della dignità della convenuta amministrazione, esorbitando addirittura dall’oggetto del contendere. Se da un lato è vero che chi si difende può utilizzare qualsiasi strumento utile a tale scopo, è ovvio che tali mezzi devono essere rapportati al fine perseguito e non possono superare i limiti della correttezza processuale né, ovviamente, possono giustificare la commissione di un reato, quale la diffamazione, la calunnia, ecc..
Addirittura, se le affermazioni esulano dall’oggetto della causa, il giudice può assegnare alla persona offesa una somma a titolo di risarcimento. Come precisato dalla
sentenza in commento, tuttavia, l’apprezzamento circa l’effettivo rapporto tra queste e l’oggetto della causa è rimesso alla valutazione del giudice di merito e non è censurabile in sede di legittimità.
Lo strumento a cui ricorrere in questo caso è rappresentato dagli articoli
88 e
89 del c.p.c…
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