[su_divider top=”no” divider_color=”#6477e9″ size=”0″ margin=”0″]
“Ci segua al comando”: lecita richiesta o violazione della costituzione?
Il motivo che qui analizziamo riguarda l’eventuale limitazione della libertà personale subita dall’uomo, portato coattivamente al comando per gli accertamenti.
La Costituzione in merito è chiarissima. L’articolo 13 del testo recita infatti:
“La libertà personale è inviolabile.
Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge”.
Eppure i giudici proseguono al respingimento del ricorso. Il motivo? Il conducente non viene mai trasportato contro il suo volere, ha anzi la facoltà di rifiutarsi di seguire gli agenti in ogni momento. Certo, a tutela delle attività di polizia, questo rifiuto configura poi un’altra fattispecie di reato. L’accompagnamento del conducente presso il più vicino ufficio o comando è infatti considerato un dovere di collaborazione, e nel caso in cui l’automobilista rifiuti di ottemperare a questo dovere è soggetto a sanzione penale (almeno per quanto riguarda gli accertamenti di cui al comma 4 dell’art. 186).
Il rischio di abusi è scongiurato
Certo, a tutela del cittadino è la stessa norma che prevede modalità di accertamento che scongiurino rischi di abusi e di irragionevolezza. A posteriori infatti è concesso che “si compia una verifica giudiziale dei fatti e della attendibilità delle ragioni del convincimento dell’agente, in relazione al bene protetto della sicurezza della circolazione ed alle correlate finalità di prevenzione“.
Legittimo, quindi, richiedere al conducente che dia segni di ebbrezza alcolica o di aver fatto uso di stupefacenti di accompagnarci al comando. Certo, dovremo dare conto dei motivi che ci hanno convinto a procedere in tal senso.
Consulta la Sentenza n. 17151 del 5 aprile 2017, Corte di Cassazione
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento