L’ente fa ricorso in Cassazione evidenziando che l’apparecchiatura utilizzata è di tipo omologato dal Ministero dei trasporti e che era stata installata secondo le prescrizioni dell’omologa, come risulta dalla documentazione prodotta, tra cui il decreto di omologa e il verbale di collaudo (quest’ultimo facente piena prova fino a querela di falso) che non sono stati impugnati dalla multata.
La Corte, accoglie il ricorso e precisa che “in tema di rilevazione della violazione del divieto di proseguire la marcia con impianto semaforico rosso a mezzo di apparecchiature elettroniche, né il codice della strada né il relativo regolamento di esecuzione prevedono che il verbale di accertamento dell’infrazione debba contenere, a pena di nullità, l’attestazione che la funzionalità del singolo apparecchio impiegato sia stata sottoposta a controllo preventivo e costante durante l’uso”.
Al contrario, prosegue il provvedimento, l’efficacia probatoria di qualsiasi strumento di rilevazione elettronica perdura sino a quando non risultino accertati, nel caso concreto e sulla base di circostanze allegate dall’opponente e debitamente provate, il difetto di costruzione, installazione o funzionalità dello strumento stesso, oppure situazioni comunque ostative al suo regolare funzionamento.
Non è il Comune che deve provare l’idoneità del dispositivo, ma è chi si oppone alla sanzione che deve dimostrare perché l’apparecchiatura non è conforme ai requisiti previsti nel decreto di omologazione.
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