Sennonché tale disciplina non dà alcuna indicazione in più su cosa si debba intendere per «edifici condominiali degradati o ubicati in aree urbane degradate», trattando del diverso problema della sicurezza urbana e limitandosi ad accennare, in questa prospettiva, a «siti degradati» o a «degrado del territorio». Inoltre, la norma non indica alcuna esigenza o alcun interesse di carattere pubblico che giustifichi o imponga il ricorso a quanto previsto. Non è chiaro, poi, come possa il sindaco avere contezza dell’esistenza dei presupposti che, in base all’articolo 1105, comma 4, del Codice civile, legittimano il ricorso all’autorità giudiziaria, né quali siano le decisioni «indifferibili» e «necessarie» che dovrebbe assumere l’amministratore giudiziario. In particolare, sotto quest’ultimo profilo, vi è da chiedersi se «necessarie» siano le decisioni volte all’amministrazione della cosa comune (come si potrebbe pensare in considerazione del significato e della finalità dell’articolo 1105 del Codice civile) o, più specificatamente, quelle finalizzate all’eliminazione dello stato di degrado. In secondo luogo, la previsione stravolge le regole condominiali: per un verso, interferendo – attraverso il previsto ricorso al potere pubblico (il sindaco) – nella libertà dei singoli condòmini di nominare o meno un soggetto che curi i loro interessi proprietari; per altro verso, esautorando l’assemblea dal suo ruolo decisionale a favore di un amministratore a cui verrebbero attribuiti – in spregio al suo ruolo di mero mandatario – incisivi poteri, completamente discrezionali. E questo senza considerare che il procedimento per la nomina di costui è previsto avvenga senza contraddittorio, con la conseguenza che tutto ciò è possibile accada all’insaputa dei condòmini interessati. Se a quanto precede si aggiunge che nel nostro ordinamento è già stabilita, in via eccezionale, la possibilità per l’amministratore di condominio di ordinare lavori di manutenzione straordinaria, ove abbiano carattere urgente (articolo 1135 del Codice civile) e che quanto previsto nella norma avrà l’effetto finale di gravare i proprietari interessati di spese non da loro decise e che probabilmente non avevano fino a quel momento deliberato in quanto non in grado di farvi fronte, è evidente la ragione per cui la disposizione introdotta nel decreto sblocca-cantieri sia assolutamente non condivisibile. C’è da augurarsi che il Parlamento possa tornare sulla questione, per evitare di consentire l’ingresso nel nostro ordinamento di una norma lesiva degli interessi e dei diritti dei proprietari di immobili.
ANTONIO NUCERA
Selezione di articoli tratti dai principali quotidiani nazionali – Servizio in collaborazione con Mimesi srl
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