La dipendente invalida ritenuta idonea al proficuo lavoro è obbligata a trasmettere i certificati di malattia in modo identico alla generalità dei dipendenti. La mancata giustificazione delle assenze per malattie, per non essere state segnalate all’ente mediante certificato medico, comporta che l’assenza sia considerata ingiustificata, con applicazione del licenziamento in presenza di un numero superiore a tre giorni continuativi. Trattandosi di ipotesi tipizzata dal legislatore (art.55-quater d.lgs. 165/01) eventuali previsioni contrattuali che prevedessero ipotesi disciplinari di tipo conservativo avrebbero dovuto essere disapplicate ed etero integrate con le previsioni legislative. Queste sono le motivazioni confermate dalla Cassazione che, con la sentenza n.11761/2021, ha rigettato il ricorso della dipendente contro il licenziamento intimatole dall’ente locale.
La vicenda
Una dipendente comunale ha impugnato il licenziamento, dovuto a cinque giorni di assenze ingiustificate, davanti il giudice del lavoro, giudicando le motivazioni della sanzione espulsiva illegittime stante la sua situazione di malattia collegata alla sua invalidità. Il Tribunale di primo grado e, successivamente, la Corte di appello hanno rigettato il ricorso della dipendente. A sostegno della motivazione della legittimità del licenziamento, i giudici di appello hanno evidenziato che il medico di medicina generale della dipendente non aveva rilasciato né trasmesso al datore di lavoro alcuna attestazione di malattia. Né era possibile considerare il certificato prodotto, dopo i giorni di assenza ingiustificati, in grado di sanare l’inadempimento. In ogni caso, la certificazione postuma, rilasciata dal medico, non attestava che lo stato psicofisico della lavoratrice fosse tale da renderla non idonea alla prestazione. Ciò veniva confermato dalle dichiarazioni rese dal medesimo medico al dirigente della struttura sanitaria, che lo aveva sentito sui fatti e redatto relazione.
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