Ma … c’è un “ma”.
Ed il “ma” non sta tanto nelle conclusioni: in effetti, se la messa alla prova (che la Corte definisce “… strumento di composizione preventiva e pregiudiziale del conflitto penale, che non sembra prevedere un preventivo accertamento di penale responsabilità …”) dà esisto positivo, non è certo irragionevole affermare che il processo, sospeso proprio per dare la possibilità all’interessato di meritare la definizione alternativa del processo e la estinzione del reato, non possa concludersi con una sentenza di condanna, visto che il Giudice deve dichiarare l’estinzione del reato ex art. 464-septies, c.p.p..
Il “ma”, dicevo, non sta nelle conclusioni, ma nelle premesse da cui muove la decisione, in sede di legittimità, di questo caso concreto.
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[1] Si trattava infatti dei “… reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44 lett. c), all’art. 81 cpv. c.p. e il D.P.R. n. 64 del 1974, artt. 1, 2, 20, all’art. 81 cpv. c.p. e L. n. 1086 del 1971, artt. 2, 13, 4, 14, (così come modificati dal D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 71 e 72), al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 – bis, all’art. 734 c.p. …”
[2] Che “… Come noto … costituisce l’esplicitazione di un potere sanzionatorio non residuale o sostitutivo, ma autonomo rispetto a quello dell’autorità amministrativa, attribuito dalla legge al giudice penale (per tutte, Sez. U, n. 15 del 1976/1996, Monterisi, Rv. 205336, a mente della quale l’ordine di demolizione adottato dal giudice ai sensi della L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 7, al pari delle altre statuizioni contenute nella sentenza definitiva, è soggetto all’esecuzione nelle forme previste da codice di procedura penale, avendo natura di provvedimento giurisdizionale, ancorchè applicativo di sanzione amministrativa) …” – conforme: Cass. pen., sez. III, 11 febbraio 2016, n. 5735, in www.lexambiente.it
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