Autovelox: il Consiglio di Stato ribadisce che essi servano come forte deterrente per gli automobilisti in zone pericolose

Girolamo Simonato 24 Settembre 2014
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Il casus belli era nato dopo la sentenza del Tar del Molise, che aveva accolto il ricorso di un Comune, che a seguito di disposizioni prefettizie aveva fatto eliminare una postazione autovelox. La posizione dell’Ente locale, appoggiata dal Tar, trovava la sua “genesi” sull’impossibilità di arrestare la marcia dei veicoli nel tratto di competenza del Comune.

Questa posizione, però, ribaltata dal Consiglio di Stato, che ha ribadito come il criterio primario indicato dalle norme che regolano il posizionamento degli apparecchi elettronici di rilevazione della velocità sia che essi servano come forte deterrente per gli automobilisti in zone pericolose.

Con la sentenza 4321/14 pubblicata dalla terza sezione, il Consiglio di Stato prova a mettere una pezza all’abuso di autovelox che numerose amministrazioni comunali piazzano con l’unico scopo di fare cassa. Il provvedimento riforma infatti la precedente decisione del Tar Molise, che aveva accolto il ricorso di un comune riguardante la presenza di un autovelox contestato dagli automobilisti.

L’autovelox in questione è stato oggetto di numerose attenzioni da parte degli automobilisti, con una gran mole di contenzioso.

Su queste sollecitazioni il Prefetto riapriva l’istruttoria sulla postazione di rilevamento della discordia e con suo atto deliberativo decideva di eliminare il tratto di strada da quelli in cui è possibile procedere all’accertamento elettronico.

In tal senso aveva utilizzato il criterio primario indicato dalle norme che regolano il posizionamento degli apparecchi elettronici di rilevazione della velocità, ossia se in zona davvero serva un forte deterrente per gli automobilisti.

L’interpretazione del Tar Molise, aveva fondato la sua decisione sull’impossibilità di arrestare la marciadei veicoli nel tratto di competenza del Comune. Uno dei punti del dibattito, nonché base su cui si era fondata la decisione del Tribunale Amministrativo Regionale, è stata l’impossibilità del Comune a consentire la contestazione dell’infrazione direttamente sulla strada, visto che il tratto viario di competenza comunale era sprovvisto di apposite aree di sosta per i veicoli più lunghi e ingombranti.

I giudici di Palazzo Spada, nella sentenza in commento, affermano che si deve confermare, innanzi tutto, il rigetto dell’eccezione di difetto di interesse (rectius: di legittimazione) sollevata in primo grado con l’argomento che la polizia municipale non avrebbe competenza ad esercitare compiti di polizia stradale sui percorsi extraurbani delle strade statali. Basti osservare che se questa tesi fosse vera, prima ancora che l’inammissibilità del ricorso ne sarebbe derivata la nullità dei verbali di contravvenzione redatti dalla polizia municipale e si sarebbe potuto/dovuto, per quella sola ragione, ordinare la rimozione dell’autovelox. Ma a questo punto non sono spinte né la Prefettura né l’A.N.A.S., pur dimostrandosi (come risulta dall’abbondante carteggio in atti) tutt’altro che avare di argomenti (anche pretestuosi) per osteggiare l’attività della polizia municipale.

In verità, com’è noto (cfr. Cass. civ., n. 15105/2010 e altre) l’accertamento delle violazioni della disciplina del traffico rientra nei compiti della polizia municipale anche sulle strade statali extraurbane, beninteso all’interno del territorio del Comune. La limitazione ai tratti urbani delle strade statali riguarda invece la potestà dell’autorità comunale di regolamentare la circolazione.

Si potrebbe forse discutere dell’interesse a ricorrere (o della legittimazione) sotto altro profilo: e cioè con riferimento alla considerazione che l’atto del Prefetto, di cui all’art. 4, comma 2, d.l. n. 121/2002 e s.m., non si qualifica come una “autorizzazione” rispetto alla quale si possano riconoscere interessi legittimi pretensivi. Si tratta invece di un atto di programmazione (ampiamente discrezionale) al quale gli organi di polizia stradale sono chiamati a concorrere mediante un parere non vincolante (“sentiti…”), con il quale si esaurisce ogni loro funzione al riguardo. In questa prospettiva si potrebbe dubitare che le scelte del Prefetto (e dell’ente proprietario della strada, il cui parere è invece vincolante) siano impugnabili dai singoli organi di polizia municipale a tutela delle proprie funzioni. Ma poiché l’eccezione non è stata posta in questi termini il Collegio (a maggior ragione in grado di appello) non deve approfondire la questione.

Nel merito della controversia, si ritiene opportuno e sufficiente cogliere il nucleo essenziale dell’appello dell’Amministrazione dello Stato, tralasciando altre considerazioni non pertinenti, ancorché diffusamente esposte.

Il punto centrale è che l’atto del Prefetto, di cui all’art. 4, comma 2, cit., è ampiamente discrezionale ed ispirato a complessive valutazioni di opportunità/necessità dell’installazione degli apparecchi automatici. Ciò nell’àmbito di un sistema che non prevede che l’installazione degli apparati in questione sia la regola generale, con l’eccezione, in ipotesi, dei luoghi individuati come “non idonei” dal Prefetto, bensì che la regola generale sia il divieto, tranne che nei luoghi individuati con apposito provvedimento.

In questo contesto, i criteri indicati nell’art. 4, comma 2, («…tenendo conto di…») sono chiaramente solo indicativi, e non già tassativi, e neppure esaustivi.

In ogni caso, come dedotto nell’atto d’appello, il criterio primario ed essenziale che si desume dalla norma è quello del “tasso di incidentalità”. Una volta che l’apprezzamento di questo criterio abbia dato esito negativo (e cioè abbia portato a concludere che in un determinato tratto di strada, sotto questo profilo, non vi è la necessità di installare un autovelox), appare sostanzialmente superfluo discettare se le conformazione dei luoghi sia tale da ostacolare in qualche misura l’accertamento delle violazioni con le modalità ordinarie. Altrimenti si dovrebbe dire che sia doveroso collocare apparecchi automatici dovunque non sia agevole arrestare la marcia dei supposti trasgressori, ancorché sotto ogni altro profilo manchino i presupposti per adottare tale misura: il che appare estraneo al sistema della disciplina positiva.

In via definitiva il Tar aveva erroneamente sostituito le sue valutazioni con quelle delle amministrazioni competenti che non erano sbagliate, «tanto è vero che il verificatore non le considerava tali e che la sentenza le ha contraddette solo per un profilo marginale».

In conclusione, è opportuno posizionare gli autovelox su tratti stradali sicuri, nei quali il tasso d’incidentalità è minimo, solamente a seguito di emanazione del Decreto Prefettizio ed in virtù che le postazioni devono avere una giustificazione legata alla sicurezza stradale.

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