Con l’entrata in vigore dell’art. 5 del D.L. 5/2012 convertito in Legge 35/2012, il legislatore ha istituito il “cambio di residenza in tempo reale”, un istituto che riconosce il diritto soggettivo del cittadino a determinare la propria residenza, concretandosi non più in una “richiesta” all’Ufficiale d’Anagrafe, quanto piuttosto in una “dichiarazione di residenza” da parte dell’utente, avviando un procedimento ispirato al principio di cui all’art. 20 della Legge 241/1990 (silenzio-assenso) e il cui epilogo negativo deve necessariamente rispettare le regole della partecipazione al procedimento (art. 10 della Legge 241/1990) e di preavviso di respingimento previsto dall’art. 10-bis della medesima legge.
Ne consegue, pertanto, che il procedimento in argomento non potrà intendersi su istanza di parte, giacché l’esercizio del diritto soggettivo non può trovare limitazioni, ma al contrario è soggetto alle normali procedure di verifica previste degli artt. 71 e 72 del D.P.R. 445/2000 in ordine alla mendacità delle dichiarazioni rese dal dichiarante.
Ferma restando la suddetta semplificazione, la normativa in materia di anagrafe e relativa regolamentazione è ancora disciplinata dalla Legge 1228/1954 e dal D.P.R. 223/1989 (così come modificato dal D.P.R. 16/2015).
In particolare giova rilevare che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 19 del D.P.R. 223/1989 e 4 della Legge 1228/1954, l’onere di accertamento delle condizioni che consentano di ritenere effettiva la residenza presso l’abitazione dichiarata dal cittadino, grava in capo all’Ufficiale d’Anagrafe.
Per lo svolgimento di questa competenza esclusiva, l’Ufficiale d’Anagrafe ha facoltà di compiere una serie di accertamenti che gli consentano di poter appurare l’effettiva residenza e quindi iscrivere all’anagrafe della popolazione la posizione oggetto di istruttoria.
Tra gli accertamenti che può compiere vi è “anche” la possibilità di interpellare Enti, Amministrazioni ed Uffici pubblici o privati per acquisire ogni informazione utile al caso (art. 4, comma 3, Legge 1228/1954), ma anche “ordinare” accertamenti (indagini) al fine di appurare la veridicità dei fatti denunciati dal dichiarante.
Ma chi deve svolgere queste attività di indagine ed accertamento ?
Il nodo è sciolto mediante letterale interpretazione dell’art. 19, comma 2, del D.P.R. 223/1989, che testualmente recita: “L’Ufficiale di anagrafe è tenuto a verificare la sussistenza del requisito della dimora abituale di chi richiede l’iscrizione anagrafica. Gli accertamenti devono essere svolti a mezzo degli appartenenti ai corpi di polizia municipale o di altro personale comunale che sia stato formalmente autorizzato … omissis …”
Orbene, la semplice interpretazione normativa permette di superare senza alcun dubbio quanto sia considerato, ancora in molti comuni, come il “dogma” secondo il quale gli accertamenti presso l’abitazione devono essere svolti necessariamente dalla Polizia Locale.
Sempre per interpretazione letterale, il ricorso alla polizia locale è alternativo ad altro personale comunale (“o di altro personale …”) e non piuttosto “concorrente” secondo specifiche competenze e peculiarità del servizio prestato dalle diverse figure. Va da sé, comunque, che l’obbligo di accertamento che grava in capo all’Ufficiale di anagrafe deve conciliarsi con i diritti soggettivi dell’utente al silenzio-assenso e alla partecipazione al procedimento, disciplinati dagli artt. 10, 10-bis e 20 della Legge 241/1990, che così recitano:
Art. 10. (Diritti dei partecipanti al procedimento)
1. I soggetti di cui all’articolo 7 e quelli intervenuti ai sensi dell’articolo 9 hanno diritto: a) di prendere visione degli atti del procedimento, salvo quanto previsto dall’articolo 24; b) di presentare memorie scritte e documenti, che l’amministrazione ha l’obbligo di valutare ove siano pertinenti all’oggetto del procedimento.
Art. 10-bis. (Comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza)
1. Nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l’autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all’accoglimento della domanda. Entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti. La comunicazione di cui al primo periodo sospende i termini di conclusione dei procedimenti, che ricominciano a decorrere dieci giorni dopo la presentazione delle osservazioni o, in mancanza delle stesse, dalla scadenza del termine di cui al secondo periodo. Qualora gli istanti abbiano presentato osservazioni, del loro eventuale mancato accoglimento il responsabile del procedimento o l’autorità competente sono tenuti a dare ragione nella motivazione del provvedimento finale di diniego indicando, se ve ne sono, i soli motivi ostativi ulteriori che sono conseguenza delle osservazioni. In caso di annullamento in giudizio del provvedimento così adottato, nell’esercitare nuovamente il suo potere l’amministrazione non può addurre per la prima volta motivi ostativi già emergenti dall’istruttoria del provvedimento annullato. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano alle procedure concorsuali e ai procedimenti in materia previdenziale e assistenziale sorti a seguito di istanza di parte e gestiti dagli enti previdenziali. Non possono essere addotti tra i motivi che ostano all’accoglimento della domanda inadempienze o ritardi attribuibili all’amministrazione.
Art. 20. (Silenzio assenso)
1. Fatta salva l’applicazione dell’articolo 19, nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi il silenzio dell’amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, se la medesima amministrazione non comunica all’interessato, nel termine di cui all’articolo 2, commi 2 o 3, il provvedimento di diniego, ovvero non procede ai sensi del comma 2. Tali termini decorrono dalla data di ricevimento della domanda del privato.
Ne consegue che laddove all’obbligo di accertamento possa ragionevolmente ottemperarsi mediante l’assunzione di informazioni utili a formare il libero convincimento dell’Ufficiale d’anagrafe, la verifica disposta presso l’abitazione dichiarata potrebbe non risultare necessaria, oltre che non obbligatoria, se non addirittura contraria al principio di economicità dell’azione amministrativa.
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