Il problema nasce dalla formulazione del comma 1 dell’articolo 9 della Legge n. 65/86 “Legge-quadro sull’ordinamento della polizia municipale” il quale dispone: << Il comandante del Corpo di polizia municipale è responsabile verso il sindaco dell’addestramento, della disciplina e dell’impiego tecnico-operativo degli appartenenti al Corpo >>.
La questione si è aggravata notevolmente negli ultimi anni dove, per colpa di una spending review dopo l’altra, nella faticosa ricerca di risparmi nelle poste di bilancio rappresentate dalla spesa del personale, si eliminano dei posti lasciati liberi momentaneamente dai Comandanti-dirigenti, assegnando il Comando nelle mani di funzionari – normalmente titolari di P.O. – ed incardinando il comando/servizio sotto un dirigente amministrativo.
Laddove ci sono comandanti che non accettano di buon grado di relazionarsi con un responsabile che non riveste le qualifiche proprie di un appartenente al Corpo (art. 5 legge n. 65/86 “Funzioni di polizia giudiziaria, di polizia stradale, di pubblica sicurezza”), ci si ricorda del prefato articolo 9, ci si rivolge alla magistratura, e il più delle volte si raggiunge anche il risultato sperato.
La problematica la ritroviamo nuovamente in una recente sentenza del Consiglio di Stato – n. 75/2015 del 16/1/2015 – dove leggiamo che il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, con propria sentenza, respingeva il ricorso con cui un tenente del Corpo dei Vigili urbani, chiedeva l’annullamento di una delibera della Giunta comunale del Comune dove lo stesso prestava servizio nella parte in cui, mentre prevedeva la progressione verticale per i posti vacanti di funzionario D3 e di istruttore direttivo – amministrativo D1, per l’area vigilanza stabiliva la necessità del concorso pubblico per la copertura del posto di vice comandante dei vigili urbani, posizione D3.
I giudici amministrativi d’appello, nel respingere il ricorso, hanno affermato una serie di principi molto importanti sui quali vale la pena soffermarci.
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