Il maltrattamento di animali

Approfondimento di Damiano Cappellari

4 Settembre 2024
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L’art. 727 del codice penale recita: “Chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività è punito con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda da 1.000 a 10.000 euro”.
E prosegue: “Alla stessa pena soggiace chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di grave sofferenze”.

Abbandono cosa significa? Quando l’animale è lasciato solo senza che nessuno si prenda cura dello stesso. Per cui, in ordine al rapporto tra questo articolo e l’art. 5 della legge n. 281 del 1991, sul randagismo canino, che sanziona in via amministrativa tale fattispecie, prevale il dispositivo penale.

La norma che abbiamo riportato è posta a tutela del senso di pietà per gli animali, la condotta si configura nell’abbandonare un animale domestico di qualsiasi tipo, ma anche nel detenerlo in condizioni incompatibili con la sua natura anche per mera negligenza o incuria.

Essendo una fattispecie contravvenzionale non serve infatti il dolo. Ricordare però il requisito della grave sofferenza, il quale non presuppone solo la ravvisabilità di lesioni fisiche, potendo la sofferenza consistere in soli patimenti (cfr. Cass. penale, sez. III, n. 2774/2006). Bisogna, sempre secondo la Cassazione, tenere conto della rilevanza non solo delle alterazioni del fisico “ma anche di quelle che incidono sulla psiche dell’animale, risultando ormai pacificamente riconosciuto che anche gli animali, quali esseri senzienti, sono suscettibili di simili menomazioni”, sempre sentenza n. 2774/2006 citata.

La legge 20 luglio 2004, n. 189 avente ad oggetto “Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali, nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate”, ha introdotto nel codice penale, dopo il titolo IX del Libro II, il seguente titolo IX-bis – Dei delitti contro il sentimento per gli animali, leggiamo allora l’art. 544-bis: (Uccisione di animali). Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale è punito con la reclusione da tre mesi a diciotto mesi.

E l’art. 544-ter recita:

(Maltrattamento di animali). Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da tre mesi a diciotto mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro.
La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi.

La pena è aumentata della metà se dai fatti di cui al primo comma deriva la morte dell’animale.

Quindi l’art. 727 punisce l’abbandono di animali e la detenzione in condizioni incompatibili, è un illecito contravvenzionale che prevede un termine di prescrizione molto ridotto (da 3 a 4 anni e mezzo).

L’introduzione degli articoli 544-bis e seguenti come delitti, ha come risultato la previsione di pene più severe e termini di prescrizione più ampi.

Abbiamo visto che nelle nuove ipotesi di maltrattamento sono necessari due requisiti: la crudeltà e la mancanza di necessità. Da non sottovalutare che questi due requisiti possono essere alternativi. Crudeltà vuol dire una uccisione o un maltrattamento volontari che causa sofferenze. Senza necessità vuol dire che non sussiste il reato se si agisce per difesa dei beni vitali o se il sacrificio degli interessi degli animali è l’unica strada per difendere gli interessi umani, in sintesi bisogna avere riguardo al singolo fatto concreto.

Da ultimo preme precisare che per maltrattamento non si intende solo infierire contro un animale e procurargli una lesione fisica, ma basta lasciarlo soffrire anche per inedia o non prestandogli cure per sostanziarsi tale fattispecie.
Solo un cenno all’art. 544-quater che recita: Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque organizza o promuove spettacoli o manifestazioni che comportino sevizie o strazio per gli animali è punito con la reclusione da quattro mesi a due anni e con la multa da 3.000 a 15.000 euro.
La pena è aumentata da un terzo alla metà se i fatti di cui al primo comma sono commessi in relazione all’esercizio di scommesse clandestine o al fine di trarne profitto per sé o perbaltri ovvero se ne deriva la morte dell’animale.


Siamo nel campo dell’organizzazione di spettacoli e manifestazioni con oggetto gli animali e che comportino per loro sevizie o strazio.

L’art. 544-quinquies “Divieto di combattimento tra animali” punisce chi promuove, organizza e dirige combattimenti tra animali ma anche chi destina gli animali a combattimenti clandestini e chi organizza scommesse sui combattimenti di animali. L’articolo è molto lungo, leggiamone la prima parte: Chiunque promuove, organizza o dirige combattimenti o competizioni non autorizzate tra animali che possano metterne in pericolo l’integrità fisica è punito con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da 50.000 a 160.000 euro (…).

L’art. 544-sexies avente titolo “Confisca e pene accessorie” stabilisce che nel caso di condanna, o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’art. 444 del codice di procedura penale, per i delitti previsti dagli articoli 544-ter, 544-quater e 544-quinquies, è sempre ordinata la confisca dell’animale, salvo che appartenga a persona estranea al reato. L’affidamento degli animali sequestrati o confiscati viene dato ad associazione o enti che ne facciano richiesta individuati con decreto del Ministro della salute, adottato di concerto con il Ministro dell’interno (come stabilito dall’art. 3 della medesima legge n. 189/2004).

Piccola digressione: dobbiamo leggere anche però l’art. 3 della legge n. 189/2004 avente come titolo “Modifica alle disposizioni di coordinamento e transitorie del codice penale” altrimenti ci verrebbe qualche dubbio sulla caccia e sulle manifestazioni storiche… sentiamo.

Dopo l’art. 19-bis delle disposizioni di coordinamento e transitorie del codice penale è inserito il seguente: art. 19-ter (Leggi speciali in materia di animali). Le disposizioni del titolo IX-bis del Libro II del codice penale non si applicano ai casi previsti dalle leggi speciali in materia di caccia, di pesca, di allevamento, di trasporto, di macellazione degli animali, di sperimentazione scientifica sugli stessi, di attività circense, di giardini zoologici, nonché delle altre leggi speciali in materia di animali. Le disposizioni del titolo IX-bis del Libro II del codice penale non si applicano altresì alle manifestazioni storiche e culturali autorizzate dalla regione competente.

L’art. 638 codice penale, cosa dice? Leggiamo il titolo “Uccisione o danneggiamento di animali altrui”, così come modificato dalla predetta legge n. 189/2004.

Chiunque senza necessità uccide o rende inservibili o comunque deteriora animali che appartengono ad altri è punito, (…) a querela della persona offesa, con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 309.

E prosegue:

La pena è della reclusione da sei mesi a quattro anni, e si procede d’ufficio, se il fatto commesso su tre o più capi di bestiame raccolti in gregge o in mandria, ovvero su animali bovini o equini, anche non raccolti in mandria.

Ma leggiamo ancora il terzo comma:

Non è punibile chi commette il fatto sopra volatili sorpresi nei fondi da lui posseduti e nel momento in cui gli recano danno.

Scopo della norma è tutelare l’integrità fisica degli animali altrui e l’interesse del proprietario per il loro utilizzo. Ovviamente importante è che non vi sia necessità. Secondo la Cassazione penale (sentenza n. 43722 del 10 dicembre 2010) la situazione di necessità che esclude la configurabilità del delitto di danneggiamento o uccisione di animali altrui, comprende non solo lo stato di necessità di cui all’art. 54 codice penale, ma anche ogni altra situazione che induca all’uccisione o al danneggiamento dell’animale per prevenire od evitare un pericolo imminente o per impedire l’aggravamento di un danno giuridicamente apprezzabile alla persona, propria o altrui, o ai propri beni, quando tale danno l’agente ritenga altrimenti inevitabile. Il caso era l’uccisione di un pastore tedesco a fronte della situazione di pericolo per un altro cane di proprietà dell’imputato, già aggredito poco prima, e per la moglie dell’imputato, intervenuta sul posto, abbastanza scontato, no?

Per dire, l’esimente dello stato di necessità di cui all’art. 54 codice penale citato postula che l’azione sia indotta da un pericolo imminente di un danno grave alla persona e non può essere invocato per escludere la punibilità per colui che uccide animali appartenenti a specie protette – tanto per fare un riferimento alla caccia – allo scopo di tutelare la vita di altro animale appartenente a specie protetta e utilizzato come richiamo, come stabilito dalla Cassazione penale, sez. I, sentenza n. 26103 del 14 luglio 2005.

In altra sentenza la Cassazione ha ritenuto corretta la decisione del giudice di merito che aveva escluso la sussistenza del reato di cui all’art. 638 c.p. nell’ipotesi di uccisione di un cane, pastore tedesco, che introdottosi in un pollaio aveva mangiato gli animali ivi rinchiusi e quindi aggredito il loro proprietario accorso per allontanarlo (cfr. Cassazione penale, sez. II, sentenza n. 1963 del 18 febbraio 1998).

Va bene tutto, ma a chi spetta la vigilanza sulla legge n. 189/2004? L’art. 6 intitolato appunto “Vigilanza” recita: A fine di prevenire e contrastare i reati previsti dalla presente legge, con decreto del Ministro dell’interno, sentiti il Ministro delle politiche agricole e forestali e il Ministro della salute, adottato entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono stabilite le modalità di coordinamento dell’attività della Polizia di Stato, dell’Arma dei carabinieri, del Corpo della guardia di finanza, del Corpo forestale dello Stato e dei Corpi di polizia municipale e provinciale.

E il comma 2:

La vigilanza sul rispetto della presente legge e delle altre norme relative alla protezione degli animali è affidata anche, con riguardo agli animali d’affezione, nei limiti dei compiti attribuiti dai rispettivi decreti prefettizi di nomina, ai sensi degli articoli 55 e 57 del codice di procedura penale, alle guardie particolari giurate delle associazioni protezionistiche e zoofile riconosciute.

Ai sensi di tale articolo, il Ministro dell’interno il 23 marzo 2007 ha stabilito le modalità di coordinamento della varie Forze di polizia a tutela degli animali disponendo che “l’attività di prevenzione e contrasto di tali crimini è demandata in via prioritaria al Corpo forestale dello Stato, e nell’ambito territoriale di appartenenza, ai Corpo di polizia municipale e provinciale, ferma restando la competenza della polizia giudiziaria che la legge rimette a ciascuna Forza di polizia”, il che vuol dire che c’è una competenza generale di tutti i corpi di polizia giudiziaria in materia di tutela degli animali.

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