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La gravità del reato di omissione di soccorso e fuga
Il reato di omissione di soccorso e fuga previsto dall’articolo 189 del Codice della Strada è uno dei più gravi in materia di circolazione stradale, poiché incide direttamente su valori fondamentali come la sicurezza pubblica e la tutela della vita umana.
Le condotte previste da tale articolo si articolano in due distinti comportamenti:
la fuga dal luogo dell’incidente e l’omissione di prestare assistenza alle persone coinvolte.
Questi due aspetti, pur potendo verificarsi contestualmente, tutelano beni giuridici differenti.
La fuga è diretta a garantire la possibilità di identificare i soggetti coinvolti nell’incidente e di ricostruire le dinamiche del sinistro, rispondendo così a esigenze di giustizia.
L’omissione di soccorso, invece, tutela il diritto alla salute e alla vita delle persone, imponendo un obbligo di assistenza immediata e adeguata.
La giurisprudenza della Cassazione sul reato
La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha costantemente ribadito l’importanza di distinguere tra le due condotte. In particolare, si è affermato che l’obbligo di prestare assistenza non è subordinato all’accertamento di un reato, ma deriva dal semplice fatto che si verifichi un incidente stradale collegabile al comportamento del conducente. Tale principio è stato chiaramente espresso nella sentenza della Corte di Cassazione, Sez. 4, n. 34356 del 25 novembre 2020 (Rv. 280153-01), dove si è ribadito che l’assistenza deve essere prestata anche in assenza di ferite gravi, purché vi sia uno stato di difficoltà che indichi un possibile pericolo per la vita o l’integrità fisica delle persone coinvolte.
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La configurazione del dolo nella fuga
In merito alla configurazione del dolo per il reato di fuga, la Cassazione ha chiarito che esso può sussistere anche in forma di dolo eventuale. In altre parole, il reato si configura quando il conducente, pur consapevole della possibilità che dall’incidente siano derivati danni alle persone, decide di non fermarsi e sottrarsi alle proprie responsabilità. Questo principio è stato espresso nella sentenza della Cassazione, Sez. 4, n. 34335 del 3 giugno 2009 (dep. 4 settembre 2009, Rv. 245354), in cui si afferma che il dolo eventuale è presente quando il conducente si rappresenta la possibilità che dall’incidente siano derivati danni alle persone e nonostante ciò non ottempera all’obbligo di fermarsi. Anche nella sentenza Sez. 4, n. 17220 del 6 marzo 2012 (dep. 9 maggio 2012, Rv. 252374), la Corte ha ribadito che il dolo eventuale può integrare il reato di fuga se il conducente, pur rappresentandosi il rischio di aver causato un danno alle persone, continua la marcia senza fermarsi.
L’obbligo di assistenza e la responsabilità del conducente
Inoltre, la giurisprudenza ha anche approfondito il concetto di assistenza, chiarendo che non si limita al solo soccorso sanitario, ma comprende ogni forma di aiuto materiale o morale richiesto dalle circostanze del caso. Questo orientamento è stato esplicitato nella sentenza della Cassazione, Sez. 4, n. 14610 del 30 gennaio 2014 (dep. 26 marzo 2014, Rv. 259216-01), che sottolinea come l’obbligo di assistenza debba essere adempiuto in modo adeguato alle specifiche esigenze della situazione.
La Corte ha inoltre precisato che l’obbligo di fermarsi e di prestare soccorso sussiste anche quando non vi siano ferite evidenti o quando altri abbiano già prestato soccorso, purché il conducente si renda conto di tale situazione al momento dell’incidente. Questo principio è stato sancito nella sentenza della Cassazione, Sez. 4, n. 5416 del 25 novembre 1999 (dep. 9 maggio 2000, Rv. 216465), e successivamente confermato in numerose altre decisioni, tra cui Sez. 4, n. 4380 del 2 dicembre 1994 (dep. 24 aprile 1995, Rv. 201501).
La sentenza della Corte di Cassazione in commento (Corte di Cassazione Sez. IV Pen. 21/08/2024, n.32793) rappresenta un ulteriore consolidamento di questi principi giuridici. In questo caso, la Corte ha confermato la responsabilità del ricorrente per il reato di fuga e omissione di soccorso, rilevando che il soggetto aveva chiaramente percepito l’urto con la bicicletta, come dimostrato dal danno al parabrezza del veicolo. La Corte ha ritenuto non verosimile la dichiarazione del ricorrente, secondo cui egli non si sarebbe accorto dell’incidente, stante l’evidenza del danno riportato. Inoltre, la Corte ha sottolineato che il ricorrente avrebbe dovuto rappresentarsi la possibilità di aver causato lesioni al ciclista, obbligandolo a fermarsi e prestare soccorso. La responsabilità del ricorrente è stata quindi confermata in quanto l’omissione di soccorso, come ribadito dalla giurisprudenza, sussiste anche in presenza di dolo eventuale, che si configura quando il conducente si rappresenta la possibilità di aver causato un danno e nonostante ciò decide di proseguire la marcia senza prestare soccorso.
Infine, la Corte ha ritenuto che non vi fosse alcun vizio di motivazione nella sentenza di appello, la quale aveva correttamente applicato i principi giuridici, rilevando la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di cui all’articolo 189, commi 6 e 7 del Codice della Strada. Pertanto, il ricorso è stato dichiarato inammissibile, confermando così la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma alla Cassa delle ammende. Questo caso rafforza ulteriormente l’importanza del rispetto degli obblighi di fermarsi e prestare assistenza, riaffermando la rilevanza della tutela della vita umana e della sicurezza stradale.
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