Perché questa premessa? Perché l’ARAN, sollecitata da un ente (che più di peccare di curiosità, a parere di chi scrive, ha peccato di “una qualità” che non è possibile scrivere su queste righe per rispetto di chi legge) che ha ritenuto “aprire il vaso”, ha risposto “liberando un male nei confronti dei turnisti”.
Ma andiamo con ordine.
Come tutti nell’ambiente pubblico sanno, esiste per il dipendente la possibilità di usufruire, per un determinato numero massimo di ore annuali, dei permessi brevi: intesi questi come un’assenza dal servizio, in genere, non superiore a 3 ore.
Il tutto a condizione che la quantità di permesso utilizzata sia “restituita” con una equivalente ed aggiuntiva prestazione oraria entro il mese successivo secondo le regole stabilite dalla regolamentazione interna del singolo ente di appartenenza; chi richiede siano restituite/recuperate in unica soluzione, chi con periodi non inferiori a 30 minuti, chi anche con singoli minuti, ecc. ecc: ma non è questo che conta ora, in quanto fino a qui tutto chiaro.
Il problema si pone, esclusivamente, per il personale che percepisce l’indennità di turni, cioè per chi lavora a turni.
Qui l’ARAN, rispondendo ad un quesito pare rivoluzionare, a danno dei dipendenti, le modalità di conteggio fino ad ora utilizzate nella stragrande maggioranza degli enti locali.
In sostanza, partendo da un esempio di un permesso di tre ore (ma è solo un esempio in quanto il principio, qualunque sia l’indirizzo preso sarà poi applicabile a tutti i permessi brevi), l’ARAN precisa che“nonostante il recupero orario, al lavoratore per le tre ore di permesso fruite non potrebbe essere corrisposta l’indennità di turno in quanto:
a) non avendo reso la prestazione per le tre ore a causa del permesso, viene meno il presupposto stesso per l’erogazione dell’indennità; in base all’art.22, comma 6, del CCNL del 14.9.2000, l’indennità di turno può essere corrisposta solo per i periodi di effettiva prestazione di servizio in turno;
b) a seguito del recupero, il lavoratore avrà pure reso una maggiore prestazione lavorativa, corrispondente alle ore di permesso fruite, ma, come si è già detto, essa finisce per collocarsi necessariamente al di fuori dell’articolazione oraria prevista per lo stesso nell’ambito del turno e, quindi, non può essere considerata come rientrante nel regime della turnazione.”
In sostanza al lavoratore che oggi lavora tre ore e domani, per ripagare il debito orario per il permesso breve, ne lavora nove, secondo l’ARAN, pur avendo lavorato complessivamente dodici ore, spetterebbe l’indennità di turno solo per sei ore, cioè a quelle corrispondenti al turno intero programmato effettuato. Al limite, aggiunge chi scrive, se per motivate esigenze di servizio il giorno seguente dovesse essere programmato un turno di 9 ore, allora potrebbe percepire, al limite, il turno per 9 ore: ma mai, secondo l’ARAN (curioso che nelle risposte ai quesiti ARAN utilizzi sempre più spesso i termini “dovrebbe, potrebbe, sarebbe”, anziché quelli, più certi “deve, può, è”) per le tre ore “del turno spezzato” andando a casa tre ore prima.
Il problema non è di poco conto; pensiamo al dipendente che chiede un permesso per trenta minuti a fine turno: secondo ARAN non gli spetterebbe il turno, né per la mezz’ora recuperata successivamente, né per le cinque ore e mezzo lavorate nel giorno in cui è uscito dal lavoro 30 minuti prima.
Ma ancora: e quanto il dipendente è sostanzialmente costretto ad andarsene dal lavoro qualche ora prima? Per recuperare straordinari che sempre più raramente non sono pagati? Anche in questo caso, allora, oltre al mancato pagamento dello straordinario, la beffa di perdere l’indennità di turno nelle ore lavorate nel giorno in cui “si scala lo straordinario”
Sicuramente la questione non mancherà di far discutere, ma sarà probabilmente presa come spunto da “meticolosi funzionari” anelanti di diminuire lo stipendio “dei vigili”.
di Maurizio Marchi
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