La revoca della posizione organizzativa del comandante della polizia locale, spostato in via anticipata prima della sua scadenza ad altro ruolo, ha come conseguenza il diritto al pagamento della posizione organizzativa fino alla sua naturale scadenza. Tuttavia, il cambio di mansioni non darà luogo a demansionamento, né potrà rientrare nell’ipotesi più grave di svuotamento delle funzioni, se le nuove attività attribuite sono equivalenti ed esigibili alla categoria di appartenenza così come previsto dalle disposizioni contrattuali. Con queste indicazioni la Cassazione (ordinanza n.11511/2022) ha confermato la sentenza dei giudici di appello.
La vicenda
Un ente locale procedeva alla rimozione anticipata della posizione organizzativa del comandante della polizia locale conferendogli altro incarico di responsabile del servizio di protezione civile. Avverso la decisione, il comandante, privato del suo ruolo che svolgeva da oltre trent’anni, ha adito il tribunale civile al fine di vedersi riconoscere il risarcimento del danno da demansionamento o di quello dello svuotamento delle sue funzioni. A differenza del Tribunale di primo grado, la Corte di appello riconosceva all’ex comandante il risarcimento del danno da revoca anticipata della posizione organizzativa, mentre confermava che l’esclusione del suo demansionamento e, conseguentemente, rigettava la relativa pretesa risarcitoria. Infatti, a dire dei giudici di appello, la privazione delle mansioni di Comandante di polizia municipale, svolte per trent’anni dal dipendente, con l’attribuzione dell’incarico di responsabile del servizio di Protezione civile, non rientrava nell’ipotesi di demansionamento. Infatti, in materia di pubblico impiego la sussistenza di un’ipotesi di dequalificazione, va valutata alla luce del criterio della cosiddetta equivalenza formale, ovvero in base alla classificazione del c.c.n.l. di riferimento. Da quest’ultimo principio si poteva ritenere l’insussistenza di un diritto del lavoratore a mantenere il ruolo di comandante di polizia municipale e la necessità di valutare il demansionamento avuto riguardo non alle mansioni proprie dell’incarico di comandante, ma a quelle della categoria D di appartenenza.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso in Cassazione l’ex comandante secondo cui avrebbe errato la Corte di appello per non aver considerato il demansionamento o lo svuotamento delle sue funzioni professionali.
La conferma della Cassazione
A dire dei giudici di Piazza Cavour, nel pubblico impiego contrattualizzato, si applica l’art. 52 d.lgs. n. 165/2001 (e non l’art. 2103 c.c.) e con esso il principio cosiddetto dell’equivalenza formale delle mansioni, senza che possa essere valorizzata in alcun modo la professionalità in concreto acquisita dal dipendente ed il suo bagaglio professionale. Pertanto, non vi sarà demansionamento tutte le volte in cui, in applicazione del principio di equivalenza, risulterà che il lavoratore sia stato preposto a mansioni appartenenti alla medesima area professionale. Il giudice di legittimità, infatti, ha avuto modo di escludere, in diverse occasioni, che l’assegnazione al dipendente comunale, già comandante della polizia municipale, di mansioni di “responsabile del servizio di polizia amministrativa” concretizzasse una violazione dell’art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001 in considerazione dell’equivalenza formale tra tali mansioni, in base alla classificazione di cui al c.c.n.l. del 31 marzo 1999 (tra le tante Cassazione sentenza n.7106/20214). Deve essere, altresì, esclusa che, nel caso di specie, si sarebbe realizzato un vero e proprio svuotamento delle funzioni attraverso la sua rimozione alle funzioni di comandante della polizia locale. Infatti, si ha svuotamento delle mansioni quando vi sia stata una sottrazione pressoché integrale delle funzioni da svolgere mentre, nel caso di specie, il ricorrente è sempre stato assegnato ad altri incarichi, essendo stato preposto a quello di responsabile della Protezione civile.
La sentenza, pertanto, deve essere confermata con rigetto del ricorso dell’ex comandante e con relativo pagamento delle spese di giudizio stante la sua soccombenza.
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