L’articolo 73 del codice antimafia e l’evoluzione giurisprudenziale

Approfondimento di Giuseppe Carmagini

Giuseppe Carmagnini 26 Luglio 2024
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Indice

Introduzione


Il decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 rappresenta oggi il Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, dettando altresì nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136.

Il Codice prevede, tra l’altro, l’applicazione di misure di prevenzione personali di competenza del Questore, quali il foglio di via e l’avviso orale.

Sono invece di competenza dell’autorità giudiziaria l’applicazione della misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, alla quale si può aggiungere, ove le circostanze del caso lo richiedano, il divieto di soggiorno in uno o più comuni, diversi da quelli di residenza o di dimora abituale, o in una o più regioni. Nei casi in cui le altre misure di prevenzione non siano ritenute idonee alla tutela della sicurezza pubblica può essere imposto l’obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale.

In ragione dell’applicazione di tali misure, l’articolo 73 del Codice antimafia, rubricato “violazioni del codice della strada”, dispone che “nel caso di guida di un autoveicolo o motoveicolo, senza patente, o dopo che la patente sia stata negata, sospesa o revocata, la pena è dell’arresto da sei mesi a tre anni, qualora si tratti di persona già sottoposta, con provvedimento definitivo, a una misura di prevenzione personale”, riproponendo in sostanza quanto già stabilito dall’articolo 6 (1 ) dell’abrogata legge 31 maggio 1965, n. 575, recante “Disposizioni contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso, anche straniere”.

Ed è proprio su tale articolo, apparentemente di semplice interpretazione, che si è incentrata l’attenzione della Cassazione e, infine, della Consulta, che dopo alcuni approdi incerti, ne ha dichiarata l’illegittimità costituzionale nella parte in cui prevede come reato la condotta di colui che – sottoposto a misura di prevenzione personale con provvedimento definitivo, ma senza che per tale ragione gli sia stata revocata la patente di guida – si ponga alla guida di un veicolo dopo che il titolo abilitativo gli sia stato revocato o sospeso a causa di precedenti violazioni di disposizioni del codice della strada (sentenza 116 deposito del 2 luglio 2024).

Alla sentenza della Corte Costituzionale ha fatto seguito la tempestiva circolare del Ministero dell’Interno, Prot. n. 300/STRAD/1/0000021427.U/2024 del 12 luglio 2024, con la quale ha illustrato la decisione della Consulta, fornendo una linea operativa, in verità non del tutto convincente.

Iniziamo l’analisi del quadro normativo alla luce dell’interpretazione che ne ha fornito nel tempo la Cassazione e da ultimo la Corte Costituzionale, partendo dalla lettera della norma che, con l’articolo 73 del d.lgs. 159/2011, dispone che nel caso di guida di un autoveicolo o motoveicolo, senza patente, o dopo che la patente sia stata negata, sospesa o revocata, la pena è dell’arresto da sei mesi a tre anni, qualora si tratti di persona già sottoposta, con provvedimento definitivo, a una misura di prevenzione personale.

Ambito oggettivo


Senza andare a ricercare le motivazioni per cui il legislatore del 2011 e, ancora prima, quello del 1965, si sia limitato alle categorie degli autoveicoli e dei motoveicoli, appare evidente che l’elencazione appare tassativa, tanto che in più di una occasione la Corte di Cassazione ha escluso dall’applicazione della norma in commento i conducenti dei ciclomotori, che, nel caso si trovino nelle condizioni indicate dall’articolo 73 del Codice antimafia, possono essere assoggettati alle sole sanzioni previste dal codice della strada. In tal senso, ex multis, la sentenza della Corte di Cassazione Penale sez. I del 5 febbraio 2020, n. 4927, ha confermato che la guida senza patente di un ciclomotore da parte di una persona sottoposta a misura di sorveglianza speciale non configura il reato previsto dall’art. 73 del d.lgs. n. 159 del 2011, in quanto nella categoria dei motoveicoli individuati dall’articolo 53 del codice della strada non rientrano i ciclomotori (almeno sino a che conservano le caratteristiche previste dall’articolo 52 del codice della strada e dal Regolamento UE 168/2013). Tali conclusioni si rinvengono anche nelle sentenze della Prima Sezione penale, n. 6752 del 19 novembre 2018 e n. 58468 del 5 novembre 2018, che hanno parimenti escluso i ciclomotori dalla nozione di motoveicoli ai fini dell’applicazione dell’art. 73 del d.lgs. n. 159 del 2011. La Corte ha sottolineato che estendere l’applicazione della norma anche ai ciclomotori violerebbe il divieto di analogia in malam partem in materia penale, sancito dall’articolo 1 del codice penale e dall’articolo 14 disp. prel. cod. civ. e dall’articolo 25, comma 2, della Costituzione. Inoltre gli Ermellini hanno considerato che, sebbene il d.lgs. n. 59 del 2011 abbia introdotto l’obbligo del conseguimento della patente per i ciclomotori a partire dal 19 gennaio 2013, ciò non ha determinato una implicita modifica della portata dell’articolo 73 del d.lgs. n. 159 del 2011, ampliando l’ambito di applicazione della norma penale.

Ambito soggettivo


Quanto al profilo soggettivo, occorre ricordare che il provvedimento che ha attinto il conducente deve essere definitivo, affinché sia applicabile l’articolo 73 del d.lgs. n. 159 del 2011. La sentenza della Corte di Cassazione Penale Sez. I n. 34022 del 15 settembre 2022 ha confermato tale conclusione. Nel dettaglio, la Corte ha stabilito che la sanzione penale è applicabile solo quando la misura di prevenzione personale sia stata adottata con provvedimento definitivo. Conformemente hanno concluso negli stessi termini Cass. Pen., Sez. I, Sent. n. 22992 del 29 maggio 2019; Cass. Pen., Sez. V, Sent. n. 39703 del 18 settembre 2018; Cass. Pen., Sez. II, Sent. n. 21415 del 22 maggio 2017.
Riguardo la natura delle misure di prevenzione personale che danno luogo all’applicazione dell’articolo in commento, la sentenza n. 47713 del 16 dicembre 2022 della Corte di Cassazione Penale sez. I , ha concluso che il mero avviso orale del Questore non costituisce una misura di prevenzione personale ai fini dell’integrazione del reato previsto dall’articolo 73, sostenendo che l’avviso orale, non accompagnato dalle prescrizioni dell’articolo 3, comma 4, del d.lgs. 159/2011, non può essere considerato una misura di prevenzione. Più di recente, negli stessi termini, la Cassazione (Sez. Prima penale, sentenza n. 26562 del 5 luglio 2024) ha confermato che l’avviso orale del Questore, privo di prescrizioni limitative della libertà personale, non costituisce una misura di prevenzione personale ai fini dell’applicazione delle sanzioni penali dell’articolo 73 del Codice antimafia. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 36857 del 6 settembre 2023 (Sez. I penale), ha ribadito una consolidata interpretazione giurisprudenziale sui casi in cui un conducente senza patente, o con patente sospesa, riceva un avviso orale “semplice”, cioè privo delle prescrizioni specifiche dell’articolo 3, comma 4, del d.lgs. n. 159 del 2011. Nonostante l’inclusione dell’avviso orale “semplice” tra le misure di prevenzione personali del Questore, i Giudici, seguendo l’orientamento delle Sezioni Unite e del Consiglio di Stato, hanno sottolineato che l’avviso orale differisce dalle misure di prevenzione più restrittive. Queste ultime richiedono una verifica dell’attualità della pericolosità sociale del soggetto, mentre l’avviso orale, essendo una misura preliminare, si collega solo alla tendenza a commettere reati e consiste nell’ammonimento a rispettare la legge. Questo principio è stato ribadito anche nella sentenza n. 7973 del 28 marzo 2017 (Sez. I civ., Rv. 644839 – 01) e dalla decisione del Consiglio di Stato, Sez. 3, n. 722 del 14 febbraio 2014.

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(1) Articolo 6. Nel caso di guida di un autoveicolo o motoveicolo, senza patente, o dopo che la patente sia stata negata, sospesa o revocata, ai sensi dell’articolo 82 e dell’articolo 91; secondo e terz’ultimo comma, n. 2) del decreto presidenziale 15 giugno 1959, n. 393, la pena è dell’arresto da sei mesi a tre anni, qualora si tratti di persona già sottoposta, con provvedimento definitivo, a misure di prevenzione.

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