La Corte di Cassazione (Sezione II Penale Sentenza 20 dicembre – 23 gennaio 2013, n. 3426 ) ha chiarito che “deve ritenersi integrato il delitto di estorsione in presenza della condotta del datore di lavoro che, approfittando della situazione di minorata difesa del lavoratore, lo costringa, con la minaccia anche larvata di licenziamento, ad accettare condizioni di lavoro contrarie alle leggi ed ai contratti collettivi, per massimizzare il suo profitto attraverso un ingiusto danno patrimoniale al dipendente. Danno patrimoniale che si realizza quando al soggetto passivo sia imposto di porsi in rapporto negoziale di natura patrimoniale con l’agente: in tal caso, l’elemento dell’ingiusto profitto con altrui danno è implicito nel fatto stesso che il contraente-vittima sia costretto al rapporto in violazione della propria autonomia negoziale, impedendogli di perseguire i propri interessi economici – nel caso di specie la durata e le modalità della prestazione – nel modo e nelle forme ritenute più confacenti, opportune nel rispetto della legge e dei contratti collettivi di lavoro.”
La sentenza certamente aiuta e ci impone, quando si effettuano i controlli su strada, di approfondire le indagini, magari prendendo a dichiarazioni il conducente/trasgressore.
Ma abbandoniamo per un attimo questa storia e spostiamo il contenuto di questa pronuncia nel nostro lavoro.
Forse il comportamento del datore di lavoro che, con minacce anche velate di mancata progressione economica o “pagellina insufficiente di fine anno” per la produttività, cerca di far adottare dal funzionario atti illegittimi (si pensi alla gestione del velox, dell’edilizia, occupazioni suolo pubblico, ecc, ecc), configura il reato di estorsione? Certamente questa sentenza apre la strada per spunti molto interessanti.
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