2. omissis propone ricorso per cassazione censurando la sentenza impugnata per i seguenti motivi:
a) erronea applicazione della legge penale, ritenendo il ricorrente che la condotta da lui posta in essere non integri gli estremi del reato previsto dall’art. 186 del codice della strada in quanto, ai sensi dell’art. 379 del d.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495, (Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada), lo stato di ebbrezza va rilevato non necessariamente nè unicamente attraverso l’etilometro e le due misurazioni del tasso alcoolemico devono risultare concordanti in un intervallo di tempo di cinque minuti, mentre nel caso di specie sono avvenute a distanza di undici minuti ed i relativi dati non sono mai stati rilasciati o mostrati all’imputato, nè allegati al verbale. I giudici di merito, si assume, non hanno tenuto in debita considerazione che al momento dell’accertamento l’imputato non avesse posto in essere comportamenti compatibili con la guida in stato di ebbrezza, non essendo pertanto i dati risultanti dall’etilometro confermati dai dati sintomatici;
b) mancanza di motivazione; il ricorrente si duole del fatto che i giudici di merito abbiano emesso la condanna esclusivamente sulla base della testimonianza del Carabiniere … e dei risultati dell’etilometro, non tenendo conto del comportamento complessivo dell’imputato, che al momento dell’accertamento risultava lucido.
1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. Va premesso che è ripetutamente affermato nella giurisprudenza della Corte di legittimità il seguente principio: “In tema di guida in stato di ebbrezza, l’esito positivo dell’alcoltest costituisce prova della sussistenza dello stato di ebbrezza, ed è onere dell’imputato fornire eventualmente la prova contraria a tale accertamento dimostrando vizi od errori di strumentazione o di metodo nell’esecuzione dell’aspirazione, non essendo sufficiente la mera allegazione della sussistenza di difetti o della mancata omologazione dell’apparecchio (Sez. IV, n. 17463 del 24/03/2011, N., Rv. 250324).
1.2. è, inoltre, ripetutamente affermato il principio secondo il quale nella motivazione della sentenza il giudice del gravame di merito non sia tenuto a compiere un’esplicita analisi di tutte le deduzioni delle parti nè a fornire espressa spiegazione in merito al valore probatorio di tutte le emergenze istruttorie, essendo necessario e sufficiente che spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dalle quali si dovranno ritenere implicitamente disattese le opposte deduzioni difensive, ancorchè non apertamente confutate. In altre parole, non rappresenta vizio censurabile l’omesso esame critico di ogni questione sottoposta all’attenzione del giudice di merito qualora dal complessivo contesto argomentativo sia desumibile che alcune questioni sono state implicitamente rigettate o ritenute non decisive, essendo a tal fine sufficiente che la pronuncia enunci con adeguatezza e logicità gli argomenti che si sono ritenuti determinanti per la formazione del convincimento del giudice (Sez. II, n. 9242 del 8/02/2013, R., Rv. 254988; Sez. VI, n. 49970 del 19/10/2012, M., Rv. 254107; Sez. IV, n. 34747 del 17/05/2012, P., Rv.253512; Sez. IV, n. 45126 del 6/11/2008, G., Rv. 241907).
2. Esaminando il provvedimento impugnato, risulta che la Corte territoriale ha ritenuto che la pronuncia di condanna in primo grado fosse correttamente fondata sulle dichiarazioni del teste .., che aveva confermato la presenza di elementi sintomatici dello stato di ebbrezza, nonchè sugli accertamenti del tasso alcolemico condotti a mezzo di apposita strumentazione, il cui esito scritto era stato regolarmente allegato agli atti del giudizio. Con l’atto di appello l’imputato aveva dedotto l’inattendibilità degli esiti del test alcolemico, ma la Corte aveva rilevato che la censura si fondava su argomentazioni generiche ed era priva di qualsiasi concreta allegazione circa il malfunzionamento dell’etilometro.
3. Secondo quanto si evince dal raffronto con il testo della sentenza impugnata, vi è, dunque, piena analogia tra i motivi di appello e le censure formulate con il ricorso per cassazione, avendo omesso il ricorrente di confrontarsi con il testo della decisione impugnata.
3.1. Ma, come costantemente affermato dalla Corte di Cassazione (ex plurimis, Sez. VI, n. 8700 del 21/01/2013, L., Rv. 254584), la funzione tipica dell’impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce. Tale critica argomentata si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 c.p.p.) debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione è, pertanto, innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (cioè con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta.
Il motivo di ricorso in cassazione, poi, è caratterizzato da una duplice specificità. Deve essere sì anch’esso conforme all’art. 581 c.p.p., lett. c) (e quindi contenere l’indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta presentata al giudice dell’impugnazione); ma quando censura le ragioni che sorreggono la decisione deve, altresì, contemporaneamente enucleare in modo specifico il vizio denunciato, così che esso sia chiaramente sussumibile fra i tre, soli, previsti dall’art. 606 comma 1, c.p.p., lett. e), deducendo poi, altrettanto specificamente, le ragioni della sua decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice del merito per giungere alla deliberazione impugnata, sì da condurre a decisione differente.
3.2. Risulta pertanto di chiara evidenza che se il motivo di ricorso si limita a riprodurre il motivo d’appello, per ciò solo si destina all’inammissibilità, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso (la critica argomentata al provvedimento), posto che con siffatta mera riproduzione il provvedimento ora formalmente impugnato, lungi dall’essere destinatario di specifica critica argomentata, è di fatto del tutto ignorato.
3.3. In altri e conclusivi termini, la riproduzione, totale o parziale, del motivo d’appello ben può essere presente nel motivo di ricorso (ed in alcune circostanze ciò costituisce incombente essenziale dell’adempimento dell’onere di autosufficienza del ricorso), ma solo quando ciò serva a documentare il vizio enunciato e dedotto con autonoma specifica ed esaustiva argomentazione, che, ancora indefettibilmente, si riferisce al provvedimento impugnato con il ricorso e con la sua integrale motivazione si confronta.
4. Conclusivamente, il ricorso deve dichiararsi inammissibile; alla declaratoria di inammissibilità segue, a norma dell’art. 616 c.p.p. l’onere delle spese del procedimento e del versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, determinata, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, nella misura di Euro 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
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