Nel presente scritto desideriamo occuparci di una ipotesi sicuramente non così improbabile nella prassi quotidiana, allorquando cioè il display dell’alcoltest evidenzia la fatidica formula “volume insufficiente”. Il problema sorge laddove, nonostante un’esecuzione apparentemente non corretta del test, lo stesso strumento abbia comunque esplicitato un riscontro numerico a seguito di un self-test iniziale corretto.
Il dibattito in giurisprudenza: tre orientamenti possibili
Tale casistica ha ben presto costituito materia di dibattito nonché di discussione in giurisprudenza, come facilmente intuibile. In concreto, abbiamo avuto modo di comprendere come, accanto a indirizzi applicativi abbastanza tipizzabili, persista ancora – nella prassi delle aule di giustizia – il ricorso a teorie o interpretazioni di tipo soggettivo o legate all’esperienza personale: una conseguenza inevitabile allorquando l’uomo, o per meglio dire l’operatore della giustizia (magistrato, avvocato, agente delle forze dell’ordine), si confronta con la tecnologia.
Tra gli ultimi arresti giurisprudenziali in materia desideriamo segnalare, per iniziare la nostra disquisizione, la sentenza della Suprema Corte, sez. 4 Penale, n. 40709 del 15.07.2016. Ivi i giudici di legittimità ritengono opportuno richiamare sinteticamente (ma efficacemente) i tre principali orientamenti sul tema, per poi giungere a proporre una soluzione della vexata questio affidata al tenore letterale della vigente disciplina normativa.
Primo orientamento: con “volume insufficiente” non sussistono i presupposti perchè l’esame dell’alcoltest sia risultato “positivo”
Il primo orientamento (a dir la verità minoritario) si rinviene in Cass. n. 35303 del 21.08.2013 ove la Corte, accogliendo i motivi di doglianza del ricorrente (condannato per il reato ex art. 186, comma 2 lett. c), c.d.s.) e rivalutando le circostanze concrete della fattispecie, ritiene non possano sussistere i presupposti per poter affermare che l’esame dell’alcoltest sia risultato “positivo”. In sede di merito era stato accertato che su entrambi gli scontrini relativi alle misurazioni effettuate risultava sia la dicitura “volume insufficiente” sia il dato numerico del tasso alcolemico: la Corte territoriale, tuttavia, riteneva dirimente il dato numerico, atteso che se la quantità di aria immessa nella strumento fosse stata realmente insufficiente, la macchina non avrebbe potuto registrare alcun dato relativo al tasso di alcol. Tale ragionamento – a detta della Cassazione –risulta gravemente carente
“poiché muove dalla immotivata obliterazione di un dato fattuale con il quale il giudice del gravame avrebbe dovuto necessariamente confrontarsi” essendo stato specificamente a ciò sollecitato dalla difesa appellante; altresì “si risolve in un apprezzamento del compendio probatorio che contrasta con i criteri di logica comune”. In altri termini, i giudici di merito hanno “del tutto illogicamente” ritenuto affidabili i dati relativi al tasso alcolemico omettendo “di considerare che proprio l’incompatibilità logica tra i dati rilasciati dalla apparecchiatura, in entrambe le misurazioni effettuate, era indicativa del ripetuto malfunzionamento della macchina”.
Può dunque essere affermato il principio che:
“l’indicazione, su entrambi i tagliandi rilasciati dall’etilometro, della dicitura “volume insufficiente”, contrasta insanabilmente con la contestuale indicazione, pure presente sugli scontrini, relativa al valore relativo al tasso alcolemico registrato, evenienza quest’ultima che presuppone l’effettuazione di una corretta misurazione del campione di aria alveolare espirato”.
Ne consegue che, nel caso di specie, lo stato di ebbrezza non può ritenersi accertato. Un ragionamento, quello della sentenza n. 35303, piuttosto lineare quanto alla ratio ispiratrice nonché basato su considerazioni legate alla comune logica, secondo cui la presenza di un messaggio di errore (quale quello di ”volume insufficiente”) non può essere trascurato o posto in secondo piano. Per di più, nemmeno il quadro indiziario rappresentato dagli elementi sintomatici – quanto meno per come riferiti dalla Corte d’Appello territoriale – viene ritenuto idoneo a configurare una qualsivoglia sorta di responsabilità penale del prevenuto, ciò che conduce alfine all’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non è previsto dalla legge come reato (e dunque potrebbe al massimo essere acclarata la meno grave fattispecie di cui alla lett. a) del comma 2 dell’art. 186 c.d.s.).
Di certo più consensi (quanto meno in sede di legittimità) notiamo invece aver riscontrato un secondo orientamento. Solo per limitarci ai principali arresti, non possiamo non ricordare in tal senso Cass. Pen., Sez. IV, sent. n. 1878 del 24.10.2013 (dep. 17.01.2014) e Cass. Pen., Sez. IV, sent. n. 11499 del 06.02.2013. Detto indirizzo muove dalla premessa secondo cui la corretta esecuzione del test presuppone… Continua a leggere l’approfondimento di R. Pullara
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