L’Illecito amministrativo – La “buona fede” e l’ignoranza

di Giuseppe Napolitano

2 Settembre 2021
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Il tema della presunta “buona fede” del trasgressore è stato trattato molto di frequente nella giurisprudenza di merito (es.: sentenza del Tribunale di Roma n. 11007 del 27 luglio 2020). I giudici hanno sovente rimarcato (dall’appello in poi, dato che in primo grado persiste una tendenza dei giudici di pace a trovare comodo l’appiglio della “buona fede” come causa di esclusione della responsabilità) che l’articolo 3 della L. 689/1981 dispone:

“Nelle violazioni cui è applicabile una sanzione amministrativa ciascuno è responsabile della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa. Nel caso in cui la violazione è commessa per errore sul fatto, l’agente non è responsabile quando l’errore non è determinato da sua colpa”.

La giurisprudenza di legittimità ritiene che questa norma ponga una presunzione semplice di sussistenza dell’elemento psicologico colposo a carico del destinatario della sanzione, che può essere vinta fornendo prova contraria: “la norma pone una presunzione di colpa in ordine al fatto vietato a carico di colui che lo abbia commesso, riservando poi a questi l’onere di provare di aver agito senza colpa” (cfr. Cass. nn. 10508/1995, 7143/2001, 8343/2001, 14107/2003, 5304/2004, 5155/2005, 20930/2009,9546/2018, 1529/2018, 4114/2016).

È onere dell’interessato dimostrare la violazione della norma in buona fede, e in particolare:“l’esimente della buona fede, intesa come errore sulla liceità del fatto, assume, poi, rilievo solo in presenza di elementi positivi idonei ad ingenerare, nell’autore della violazione, il convincimento della liceità del suo operato (come, ad esempio, nel caso di una assicurazione in tal senso ricevuta dalla P.A.), per avere egli tenuto una condotta il più possibile conforme al precetto di legge, onde nessun rimprovero possa essergli mosso” (cfr. Cass. nn. 4927/1998, 1873/1995, 10508/1995, 10893/1996).

Pertanto, in tema di illeciti amministrativi, la responsabilità dell’autore dell’infrazione non è esclusa dal mero stato di ignoranza circa la sussistenza dei relativi presupposti, ma occorre che tale stato sia incolpevole, cioè non superabile dall’interessato con l’uso dell’ordinaria diligenza (cfr. Cass. n. 6018/2019). Nello specifico, l’esimente della buona fede rilevante come causa di esclusione della responsabilità amministrativa si configura solo qualora sussistano elementi positivi idonei ad ingenerare nell’autore della violazione il convincimento della liceità della sua condotta e risulti che il trasgressore abbia fatto tutto il possibile per conformarsi al precetto di legge, onde nessun rimprovero possa essergli mosso (cfr. Cass. n. 20219/2018).

Conclusivamente, la buona fede invocata dal privato richiede non un mero stato di ignoranza, bensì, per un verso, la sussistenza di una situazione positiva idonea ad ingenerare il convincimento della liceità della condotta e, per altro verso, l’assenza di qualsiasi situazione di rimprovero.

Sotto diverso profilo, va evidenziato che nell’ipotesi in cui l’opponente deduca l’inadeguatezza della segnaletica stradale, incombe su di lui l’onere di dare prova, attraverso la dimostrazione di circostanze concrete, della sussistenza dell’allegata inadeguatezza, per inidoneità o insufficienza della segnaletica, e non invece sulla P.A. quello di provare l’adeguatezza della segnaletica stessa (cfr. Cass. n. 23566 del 9 ottobre 2017), mentre il principio opposto vale laddove l’opponente deduca la totale mancanza della segnalazione stradale relativa al divieto asseritamente violato.

Sullo stesso crinale appare adagiata anche la giustizia amministrativa: il T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II-bis, 2 maggio 2018, n. 4806, ha confermato il principio secondo cui, in tema di sanzioni amministrative, sono necessarie e al tempo stesso sufficienti la coscienza e volontà della condotta attiva od omissiva, senza che occorra la concreta dimostrazione del dolo o della colpa, giacché la norma di riferimento pone una presunzione di colpa in ordine al fatto vietato a carico di colui che lo abbia commesso, riservando poi a questi l’onere di provare di avere agito senza colpa.

Da ciò deriva che l’esimente della buona fede, applicabile anche all’illecito amministrativo disciplinato dalla L. n. 689 del 1981, rileva come causa di esclusione della responsabilità amministrativa – al pari di quanto avviene per la responsabilità penale, in tema di contravvenzioni – solo qualora sussistano elementi positivi idonei ad ingenerare nell’autore della violazione il convincimento della liceità della sua condotta e risulti che il trasgressore abbia fatto tutto quanto possibile per conformarsi al precetto di legge, onde nessun rimprovero possa essergli mosso.

 

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