Il giudice ha correttamente interpretato i limiti dell’esimente, sulla base di un consolidato indirizzo giurisprudenziale, confermando sia il verbale che la successiva ordinanza per la violazione dell’articolo 218 del codice della strada, ritenendo che non sussistesse lo stato di necessità invocato dal ricorrente sulla base di una non meglio dimostrata esigenza della madre di essere soccorsa, anche perché esistono i mezzi di soccorso che, anche più celermente e nel rispetto delle disposizioni del codice della strada, possono intervenire nei casi di emergenza.
Stato di necessità e legittima difesa sono richiamati quali esimenti sia nella Legge, sia nel codice penale, ma anche nel codice civile quanto al risarcimento del danno.
Queste due figure giuridiche sono simili tra di loro e richiamano criteri di applicazione quali cause di esclusione della responsabilità del tutto sovrapponibili.
Mentre la legittima difesa consente di utilizzare strumenti eccezionali, che normalmente sarebbero antigiuridici, per contrastare una minaccia derivante dall’azione umana (diretta od indiretta), lo stato di necessità consente la medesima reazione quando l’aggressione al bene tutelato abbia una diversa origine (es. un conducente, avvertito l’inizio di un infarto, attraversa la zona a traffico limitato dove si trova l’ospedale).
Per quel che concerne il codice della strada, la legittima difesa è difficile da rappresentare come esimente, mentre lo stato di necessità è spesso invocato nei ricorsi per divieto di sosta o per le violazioni inerenti al superamento dei limiti di velocità, quasi sempre in maniera impropria.
Nei ricorsi si fa richiamo allo stato di necessità quale esimente idonea ad escludere la responsabilità nella violazione commessa, confondendo questa figura giuridica con l’astratta necessità di ovviare a difficoltà contingenti che nulla hanno a che vedere con la tutela della propria integrità psico-fisica, mentre invece occorre fare riferimento alle disposizioni che disciplinano i medesimi istituti nel diritto penale (Cass. 5 marzo 2003 n. 3524, 12 luglio 2000, n. 9254, etc.). Pertanto, nei casi da noi affrontati nel contenzioso non appare configurabile l’esimente dello stato di necessità, che ricorre solo in presenza dei requisiti di cui all’articolo 54 del codice penale. (cfr. Cass. n. 5710/1985; 3961/1989; n. 4710/1999; n. 5877/2004), ossia, in primo luogo, del pericolo attuale di un danno grave alla persona.
Sempre con riferimento al modello penale, sul quale si fondano i principi della Legge, quando l’interessato deduca una determinata situazione di fatto a sostegno dell’operatività di una esimente reale o putativa, è su di lui che incombe l’onere di provarne la sussistenza, non essendo sufficiente una mera asserzione sfornita di qualsiasi fondamento oggettivo. Eventualmente, nel caso di esimente putativa, il richiamo all’erronea supposizione della sussistenza dello stato di necessità deve basarsi, non già su un mero criterio soggettivo, riferito al solo stato d’animo dell’agente, bensì su dati di fatto concreti, i quali siano tali da giustificare l’erroneo convincimento in capo al trasgressore di trovarsi in tale stato (Cass. pen. 1° luglio 2003, n. 28325). Anche di recente, la Corte di Cassazione Civile, sez. II, con sentenza del 27 maggio 2007, n. 7357, ha ribadito con riferimento ai precedenti indirizzi che ai fini dell’accertamento della sussistenza o meno delle cause di esclusione della responsabilità in tema di sanzioni amministrative, previste dall’art. 4 della Legge, in mancanza di ulteriori precisazioni, occorre fare riferimento alle disposizioni che disciplinano i medesimi istituti nel diritto penale, e segnatamente, per quanto concerne lo stato di necessità, all’art. 54 c.p. (Cass. 24 marzo 2004, n. 5877; 5 marzo 2003, n. 3524; 12 luglio 2000, n. 9254, etc.).
In tema di esimenti putative si è altresì ritenuto che sia idonea ad escludere la responsabilità anche la semplice erronea supposizione degli elementi concretizzanti lo stato di necessità, cioè di una situazione concreta che, ove realmente esistente, integrerebbe il modello legale dello stato di necessità, in quanto l’art. 3, secondo comma della Legge esclude la responsabilità quando la violazione è commessa per errore sul fatto, ipotesi questa nella quale rientra anche il semplice convincimento della sussistenza di una causa di giustificazione, il cui onere probatorio, tuttavia, grava sempre su colui che invochi l’errore (Cass. 12 maggio 1999, n. 4710, in tema di illecito amministrativo, dove i giudici hanno ritenuto applicabile l’esimente putativa in analogia all’articolo 59 del codice penale – così anche Cass. 25 maggio 1993, n. 5866; Cass. 20 novembre 1985, n. 4710).
Sempre con riferimento ad un caso reale, in un ricorso presentato al Prefetto il ricorrente sosteneva di aver superato i limiti di velocità (articolo 142, comma 9 del Codice) per stato di necessità, dovendosi recare con urgenza a casa dove era scattato l’allarme antifurto. In tale occasione sostenni che, appurato che si trattava di meri interessi economici, ovviamente non tutelati dalla norma che si occupa di definire lo stato di necessità, il ricorrente avrebbe dovuto contattare le forze dell’ordine per ottenere un pronto intervento presso la sua residenza ove supponeva fosse stato perpetrato un furto, ben potendo questi soggetti a cui spetta la tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico, nonché l’accertamento dei reati e l’identificazione dei loro responsabili, intervenire validamente ed in sicurezza, essendo peraltro legittimati a non rispettare le norme del codice della strada con l’utilizzo congiunto dei dispositivi supplementari di segnalazione acustica e visiva (articolo 177 del Codice), cosa che non era autorizzato a fare il ricorrente, il quale nell’occasione infranse i limiti di velocità inutilmente, potendo ricorrere ad un mezzo non solo legittimo, ma più efficace e più sicuro come l’intervento delle Forze di Polizia. Invece, superando i limiti di velocità egli mise in pericolo la propria e l’altrui vita per la tutela di un interesse patrimoniale, rendendo così evidente il disvalore tra il bene giuridico a lui caro (quello patrimoniale) e quello universalmente considerato primario, come la vita umana. Anche in questo caso il ricorso è stato respinto. Proprio per un caso analogo si è pronunciata la Corte di Cassazione Civile, sez. II, con la sentenza del 22 novembre 2006, n. 24768, concludendo in maniera analoga.
È quindi fin troppo ovvio come i principi di proporzionalità che regolano la legittima difesa siano pienamente applicabili allo stato di necessità. In buona sostanza, il bene giuridico tutelato deve essere almeno di pari rango rispetto a quello messo in pericolo con la violazione perché si possa ritenere applicabile l’esimente in parola, che ricorrerà solo nel caso in cui si voglia evitare un danno grave alla persona. Pertanto, non si riterrà sussistente lo stato di necessità ogni qualvolta che non si tratti di evitare un grave danno (ad esempio non sussisterà l’esimente per chi si sia dovuto recare in ospedale avendo ricevuto notizia del ricovero del genitore), né quando l’esigenza di soccorrere qualcuno poteva essere esercitata altrimenti (ad esempio, non sussisterà l’esimente per chi sostenga di essersi recato d’urgenza a casa per portare il genitore in ospedale, potendo invece, più efficacemente, avvertire i mezzi di soccorso).
In tema di sosta vietata, la Cassazione si è pronunciata in varie occasioni ed in particolare per violazioni commesse da conducenti di veicoli asseritamente o realmente al servizio di persone invalide titolari della particolare autorizzazione di cui all’articolo 381 del regolamento del Codice e del relativo contrassegno. Con due sentenze analoghe, i Giudici di piazza Cavour hanno escluso la sussistenza dello stato di necessità per i conducenti che avevano sostato in doppia fila e senza lasciare un adeguato spazio per il passaggio dei pedoni. In un caso il ricorrente sostenne di aver accompagnato la madre, disabile, per esigenze sanitarie non prorogabili, e di avere commesso la infrazione medesima per non aver reperito nessun altro spazio disponibile per il parcheggio di autovetture asservite al trasporto di invalidi. Il giudice di pace, ritenendo configurabile nella specie la esimente dello stato di necessità in considerazione della difficoltà di spostamento degli invalidi, accolse il ricorso. I giudici di legittimità, accogliendo il ricorso del comune, hanno ritenuto che l’esclusione della responsabilità per violazioni amministrative derivanti dallo stato di necessità, secondo la previsione dell’articolo 4 della Legge, postula, in applicazione degli articoli 54 e 59 del codice penale, che fissano i principi generali della materia, una effettiva situazione di pericolo imminente di danno grave alla persona, non altrimenti evitabile, ovvero l’erronea persuasione di trovarsi in tale situazione, persuasione provocata da circostanze oggettive, rifacendosi ai precedenti indirizzi della Suprema Corte (Cass. n.4710 del 1999; n. 287 del 2005).
Nel secondo caso, la ricorrente aveva sostenuto nel giudizio di merito, che, essendo in possesso di permesso di parcheggio riservato rilasciato al proprio figlio invalido civile e dovendo accompagnare quest’ultimo nella propria abitazione, aveva trovato occupato da altra autovettura il posto in questione ed era stata pertanto costretta a sostare davanti ad una autovettura, senza creare alcun intralcio alla circolazione. Per Corte di legittimità, anche in questa vicenda il giudice di pace erroneamente riconobbe la configurabilità della esimente dello stato di necessità senza che ne sussistessero i descritti presupposti,. trattandosi di una fattispecie del tutto carente dell’elemento del pericolo imminente di danno grave alla persona, non altrimenti evitabile.
Quindi, raramente si può effettivamente invocare l’esimente dello stato di necessità, anche putativo, per cui nelle nostre deduzioni tecniche e memorie difensive dovranno essere richiamati i confini delineati dalla Cassazione, chiedendo al giudice una rigorosa valutazione dei motivi addotti dal ricorrente come elemento di non punibilità della condotta illecita.
Vim vi repellere licet, cioè la forza violenta si può respingere facendo uso di una uguale forza.
Ad un proprio o altrui diritto, da un pericolo attuale e concreto di una offesa ingiusta. La concretezza dell’offesa è abbastanza semplice da comprendere; quanto all’ingiustizia dell’offesa basata far riferimento alle “offese” causate in attuazione di una previsione di legge, che le rende legittime, come nel caso già richiamato dell’arresto obbligatorio dove la resistenza dell’arrestato non risponde certo ad un criterio di legittima difesa.
In questo caso il bene tutelato è più circoscritto e risponde alla propria o altrui incolumità.
“Se l’agente ritiene per errore che esistano circostanze di esclusione della pena, queste sono sempre valutate a favore di lui“
Ovvio il riferimento alla Costituzione e all’articolo 1 del Codice.
Cassazione civile sezione I 30 agosto 2005, n. 17479 e n. 17480 (su Vigilaresullastrada.it)
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