Il ricorso riguarda solo il reato di cui all’art. 189, comma 7, del codice della strada che si assume insussistente evocando una decisione di questa Corte secondo cui il reato di omissione di assistenza di che trattasi “contempla tra gli elementi costitutivi della fattispecie obiettiva la necessità di assistenza alle persone ferite sicché, ove insussistente, non rileva che l’autore del fatto ne abbia avuto contezza o meno; peraltro, trattasi di reato punibile esclusivamente a titolo di dolo, quantomeno eventuale, nel cui oggetto deve rientrare dunque anche il bisogno di assistenza delle persone ferite” (Sezione IV, 30 gennaio 2014, Rossini, rv. 259216).
Il ricorso è manifestamente infondato.
Il tema è stato adeguatamente e correttamente affrontato dal giudice di merito, che ha anche considerato l’anzidetta decisione di legittimità, evidenziandone l’inapplicabilità nella vicenda, sul rilievo fattuale non qui rinnovabile che nessun elemento autorizzava a ritenere che la vittima, investita dal veicolo dell’imputato, fosse già deceduta al momento dell’impatto, sì da poterne inferire, a seguire la tesi difensiva, la non necessità dell’assistenza.
Vale osservare che il reato di cui al combinato disposto dell’articolo 189, commi 1 e 7, del codice strada, che punisce la violazione dell’obbligo di fermarsi e di “prestare assistenza alle persone ferite” da parte dell’utente della strada, in caso di incidente con danno alle persone comunque ricollegabile al suo comportamento, è punibile a titolo di “dolo”.
È cioè necessario che ogni componente del fatto tipico (segnatamente il danno alle persone e l’esservi persone ferite, necessitanti di assistenza) sia conosciuta e voluta dall’agente.
Peraltro, a tal fine, è sufficiente anche il dolo eventuale, che si configura normalmente in relazione all’elemento volitivo, ma che può attenere anche all’elemento intellettivo, quando l’agente consapevolmente rifiuti di accertare la sussistenza degli elementi in presenza dei quali il suo comportamento costituisce reato, accettandone per ciò stesso il rischio: ciò significa che, rispetto alla verificazione del danno alle persone eziologicamente collegato all’incidente, è sufficiente (ma pur sempre necessario) che, per le modalità di verificazione di questo e per le complessive circostanze della vicenda, l’agente si rappresenti la probabilità – o anche la semplice possibilità- che dall’incidente sia derivato un “danno alle persone” e che queste “necessitino di assistenza” e, pur tuttavia, accettandone il rischio, ometta di fermarsi (cfr. Sezione IV, 5 novembre 2009, B.).
In questa prospettiva, è affermazione comune e condivisibile, che l’assenza delle condizioni legittimanti la “necessità dell’assistenza” intervento di altri, già intervenuta morte della vittima, ecc. non possono essere valutate ex post ma devono essere apprezzate ex ante riportandosi al momento del fatto (Sezione IV, 25 novembre 1999, Sitia ed altri).
In questa prospettiva, risulta dalla ricostruzione del contesto fattuale della vicenda la motivata insussistenza delle condizioni che avrebbe potuto escludere, ex ante, l’obbligo di fermarsi e prestare la dovuta assistenza. Con la conseguenza correttezza dell’affermazione di responsabilità.
Il ricorso, pertanto, non può essere accolto.
All’inammissibilità del ricorso, riconducibile a colpa del ricorrente (Corte Cost., sent. 13 giugno 2000, n. 186), consegue la condanna del ricorrente medesimo al pagamento delle spese processuali e di una somma, che congruamente si determina in 1000 Euro, in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
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