Esami del sangue e guida in stato di ebbrezza

Legittimo l’utilizzo del campione ematico prelevato al conducente per finalità medico-diagnostiche dopo il sinistro, anche senza l’informazione della facoltà di farsi assistere dal difensore di fiducia.

Marco Vitali 18 Aprile 2017
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La Sentenza della Corte di Cassazione n. 16074, del 30/3/2017, è un tipico caso d’esempio relativo all’acquisizione del risultato degli esami del sangue svolti in seguito a un incidente stradale, per l’accertamento del reato di guida in stato di ebbrezza.

Nel caso in cui venga eseguito un prelievo ematico per provare il reato di guida in stato di ebbrezza possono verificarsi due distinte situazioni:

  • il prelievo viene eseguito nell’ambito di un protocollo medico dai sanitari dell’ospedale, al fine di approntare cure farmacologiche e valutare lo stato del conducente infortunato;
  • il prelievo viene eseguito su esplicita richiesta degli organi di polizia giudiziaria.

Prelievo del sangue effettuato nell’ambito di protocollo ospedaliero: come comportarsi?

Nel caso in cui l’esame venga eseguito dai medici, su loro iniziativa, al fine di valutare lo stato di salute del conducente e i necessari interventi farmacologici, il risultato può essere acquisito in ogni caso (art.186, comma 5, C.d.S.). Non è nemmeno necessario avvertire preventivamente l’interessato della facoltà di nominarsi un difensore anzi, laddove il soggetto rifiuti di sottoporsi all’esame, questi configura il reato di rifiuto (art. 186, comma 7, C.d.S.).

Nel caso in cui invece i sanitari non prevedano di eseguire gli esami del sangue e non ritengano di fornire cure mediche, “la richiesta degli organi di polizia giudiziaria di effettuare l’analisi del tasso alcolemico per via ematica, in presenza di un dissenso espresso dell’interessato, è illegittima e, quindi, l’eventuale accertamento, comunque effettuato a mezzo del prelievo ematico da parte dei sanitari, sarebbe inutilizzabile ai fini della responsabilità per una delle ipotesi di reato previste dal comma 2 dell’articolo 186″.

Consulta la Sentenza n. 16074, del 30/3/2017, Corte di Cassazione

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